RESPONSABILITÀ DA REATO DEGLI ENTI – ESTINZIONE DELL’ENTE PER CANCELLAZIONE DAL REGISTRO DELLE IMPRESE

Non può esservi estinzione dell’illecito amministrativo, addebitato ex articolo 5 comma 1 decreto legislativo 231/2001, in ragione della sopravvenuta cancellazione della società dal registro delle imprese se tale cancellazione non risulti cagionata da motivazioni fisiologiche e potrebbe, anzi, costituire un commodus discessus per sottrarsi alle conseguenze di una pronunzia giudiziaria. La cancellazione della società può certamente porre un problema di soddisfacimento del relativo credito, ma non un problema di accertamento della responsabilità dell’ente per fatti anteriori, responsabilità che nessuna norma autorizza a ritenere elisa per effetto della cancellazione dell’ente stesso.

CORTE DI CASSAZIONE

SEZ II PENALE

N. 37655/23 DEL 14/09/23

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Genova, riformando la sentenza resa il 7 novembre 2019 dal Tribunale di Genova e appellata dal pubblico ministero, ha dichiarato la responsabilità di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) in ordine al reato di truffa aggravata loro in concorso ascritto, condannandoli alla pena ritenuta di giustizia e concedendo i doppi benefici.

Inoltre, ha dichiarato la responsabilità amministrativa ai sensi dell’articolo 24 Decreto Legislativo n. 231 del 2001 nei confronti della (OMISSIS), relativamente al reato ascritto a (OMISSIS); nei confronti di (OMISSIS) s.r.l. relativamente al reato ascritto ad (OMISSIS), e nei confronti di (OMISSIS) relativamente al reato ascritto a (OMISSIS), applicando la sanzione amministrativa per ciascuna società nonché’ le sanzioni interdittive. Ha infine disposto la confisca sino all’importo di euro 176.000 circa nei confronti dei tre imputati e delle tre società suindicate.

Si addebita ai tre imputati di avere con artifizi e raggiri conseguito contributi statali erogati dal Ministero dei trasporti nella misura complessiva di 176.000 C, come incentivo all’organizzazione di corsi di formazione professionale in favore dei lavoratori nel settore degli autotrasporti: in particolare rendicontavano al Ministero costi superiori a quelli effettivamente sostenuti, così lucrando un contributo di importo superiore di almeno 38.000 euro a quello spettante.

Il tribunale aveva escluso la responsabilità degli odierni ricorrenti sul rilievo che non erano emerse prove che i costi esposti nella rendicontazione al Ministero ad opera della (OMISSIS) (OMISSIS) relativamente alle attività svolte da (OMISSIS) e dal (OMISSIS) fossero fittizi e che l’esistenza di un accordo tra i soggetti coinvolti teso a disciplinare e ripartire l’alea connessa all’importo del contributo, non dimostrava il mendacio in quanto la clausola contrattuale che disciplinava questa ripartizione era lecita ed era stata eseguita tramite l’emissione di note di credito.

Il tribunale aveva quindi assolto i tre imputati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), ciascuno nella qualità di amministratore delle suindicate società, dal reato di truffa aggravata per insussistenza del fatto e, conseguentemente aveva escluso gli illeciti amministrativi contestati alle tre società che si erano avvantaggiate della condotta.

La corte ha invece accolto la prospettazione della pubblica accusa, ravvisando la truffa proprio nel meccanismo contrattuale: in particolare ha sostenuto che l’artificio sussiste nell’esporre costi non certi, presentandoli come sostenuti, in un momento in cui i soggetti interessati prevedendo che il finanziamento non sarebbe avvenuto nella misura sperata, concordavano di impegnarsi a restituire parte dei costi fatturati tramite l’emissione di note di credito in favore del beneficiario. Vi era l’originaria intenzione di percepire il contributo in misura maggiore del dovuto, senza comunicare alcuna rettifica al Ministero, che aveva erogato gli importi in proporzione ai costi ritenuti effettivi, mentre la somma effettivamente erogata per la prestazione svolta era stata inferiore a quella comunicata al Ministero, in forza di un accordo pregresso tra gli imputati.

Avverso la detta sentenza hanno proposto ricorso i tre imputati e i rappresentanti legali delle tre società.

2. (OMISSIS) deduce:

2. La violazione degli articoli 640 e 640 bis codice penale poiché la corte ha ritenuto che l’artificio e raggiro necessario per integrare la fattispecie della truffa sia stato integrato da una pattuizione lecita afferente ad un momento successivo alla rendicontazione e al rapporto di tutti i soggetti con il Ministero, pattuizione finalizzata a disciplinare un’alea attraverso la restituzione ex post di una parte del margine di guadagno del soggetto attuatore al soggetto coordinatore.

Osserva il ricorrente che mentre la corte di appello afferma in via congetturale che proprio l’accordo intercorso tra le parti induce a ritenere che i costi fossero fittizi, il tribunale più correttamente aveva osservato che non era stata raggiunta la prova della fittizi età’ dei costi sostenuti per la prestazione; ne’ poteva dirsi che i costi fossero gonfiati per il solo fatto che le parti avessero concordato una peculiare dinamica contrattuale, in forza della quale al verificarsi di una riduzione del contributo erogato dal Ministero vi sarebbe stata una restituzione di una parte di denaro, come conseguenza della condivisione di un’alea.

In sostanza la corte individua come prova della non correttezza del prezzo il fatto che in virtu’ di un accordo intervenuto tra le parti ci sia stata successivamente alla liquidazione del contributo una restituzione di una parte del margine del guadagno conseguito dalle società (OMISSIS) e (OMISSIS) alla (OMISSIS). Ma non considera che questa restituzione è un elemento successivo e del tutto estraneo alla dinamica del bando, che si era perfezionato con la liquidazione alla (OMISSIS) di un determinato importo, in proporzione ai costi connessi alla prestazione da parte delle due società (OMISSIS) e (OMISSIS). Infatti il denaro che le due società hanno poi restituito alla Cooperativa Paratore non era più pubblico, perche’ era stato legittimamente incamerato dalle due società le quali, all’avverarsi della condizione relativa alla riduzione del contributo pubblico, nel rispetto della clausola contrattuale prevista, avevano restituito una parte del margine di guadagno conseguito.

2.2 Violazione degli articoli 43 e 110 c.p. e vizio di motivazione con riferimento al riconoscimento del dolo del reato di truffa da parte di (OMISSIS), in quanto non vi è prova che questi fosse consapevole dell’illiceità dell’accordo e che il contributo di cui alle note di credito sarebbe stato percepito in frode allo Stato e il ricorrente era convinto che il meccanismo adottato fosse corretto, perché’ era oggettivamente complesso analizzare la dinamica contrattuale e individuarne gli elementi di anomalia e perché’ faceva affidamento sulla credibilità commerciale di (OMISSIS).

2.3 Violazione dell’articolo 133 c.p. in relazione al trattamento sanzionatorio poiché’ la corte ha determinato la pena in misura superiore al minimo edittale, ricorrendo ad un argomento illogico e cioè la valutazione complessiva dell’aumento del giro di affari ottenuto grazie al meccanismo fraudolento, la cui ideazione non può essere in alcun modo attribuita a (OMISSIS).

2.4 Violazione dell’articolo 581 c.p.p. poiché’ la corte ha errato nel non dichiarare la inammissibilità dell’appello del pubblico ministero perché’ privo dei requisiti minimi richiesti dalla norma, in quanto costruito con la tecnica del “copia e incolla” di un precedente ricorso depositato in sede cautelare senza confrontarsi con le argomentazioni contenute nella sentenza di primo grado. Inoltre il pubblico ministero non ha individuato i passaggi argomentativi della decisione che risulterebbero in contrasto con la ricostruzione da lui proposta. La Corte ha ritenuto ammissibile l’impugnazione, ma lo stesso andamento del giudizio di secondo grado tradisce la confusione indotta da un atto in cui il pubblico ministero non ha bene precisato le sue doglianze.

2.5 Violazione dell’articolo 669 comma 8 c.p.p. per illegittimo contrasto tra giudicati, poiché’ la corte di appello non ha tenuto conto delle numerose sentenze definitive di proscioglimento e di assoluzione emesse da altri giudici nei procedimenti penali nei confronti di (OMISSIS), di (OMISSIS), di (OMISSIS) e di (OMISSIS) tutti originati nell’ambito della medesima indagine dall’adempimento di un contratto identico a quello per cui è processo.

3. (OMISSIS) deduce:

3.1 violazione di legge per mancata declaratoria di inammissibilità dell’appello proposto dal pubblico ministero per inosservanza dell’articolo 581 comma 1 lettera A ed E c.p.p. e vizio di motivazione dell’ordinanza che ha respinto l’eccezione formulata dalla difesa all’udienza del 19 ottobre 2021. L’appello interposto dal pubblico ministero non soddisfa i requisiti di specificità dei motivi espressamente indicati a pena di inammissibilità dall’articolo 581 c.p.p. e non indica precise e puntuali censure alla sentenza di primo grado, omettendo di indicare il punto della sentenza errato, le ragioni di diritto e gli elementi di fatto atti a sorreggere la critica e richiamando una pronunzia di codesta Suprema Corte emessa in sede cautelare nell’ambito di diverso procedimento. Il risultato è un atto devolutivo disancorato dalla sentenza di primo grado. La corte ha ritenuto di salvare la detta impugnazione ritenuta inammissibile dalla difesa, affermando che le argomentazioni dell’appello sono adeguate al contenuto della sentenza, che affronta in termini estremamente sommari la ricostruzione dei meccanismi negoziali sottostanti al reato contestato.

3.2 Violazione di legge per omesso esame dell’imputato in sede di riforma peggiorativa di una decisione di proscioglimento e nullità della sentenza ai sensi del combinato disposto degli articoli 178 comma 1 lettera C e 180 c.p.p..

La decisione della corte territoriale di procedere ad una pressoché completa rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale dimostra inequivocabilmente il valore conferito alla prova dichiarativa; il collegio ha interpretato le spontanee dichiarazioni dei ricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS) in chiave accusatoria e così facendo ha operato una diversa valutazione della prova dichiarativa rispetto a quanto ritenuto in primo grado.

Il ricorrente rileva che secondo la Corte EDU l’esame dell’imputato è un mezzo di prova che non ammette equipollenti e la pronunzia resa nel procedimento Maestri c. Italia dell’8 luglio 2021 ha ritenuto sussistente una violazione del diritto all’equo processo per omesso esame dell’imputato, allorquando la corte di appello debba procedere ad una valutazione della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.

La questione già sottoposta con ordinanza di rimessione alle Sezioni unite di questa Corte è stata respinta con provvedimento del 17 gennaio 2022, sul rilievo che la giurisprudenza di legittimità ha gia’ riconosciuto la necessità per il giudice di appello di rinnovare la prova dichiarativa in caso di riforma di pronunzia assolutoria, sulla base di un diverso apprezzamento dell’attendibilità di una dichiarazione ritenuta decisiva. Secondo il ricorrente, pertanto, la mancata richiesta da parte della corte di appello di esaminare (OMISSIS) ha comportato una violazione del diritto di difesa.

3.3 Illegittimità costituzionale dell’articolo 603 c.p.p. per violazione dell’articolo 117 c.p.p. in relazione all’articolo 6 par.1 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, poiché’ occorre verificare l’attuale conformità costituzionale della norma relativa alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale rispetto ai vincoli derivanti dagli obblighi previsti dall’articolo 117 della Costituzione in ordine all’articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, laddove l’articolo 603 c.p.p. non prevede l’obbligo di disporre l’esame dell’imputato attraverso misure positive, in caso di riforma peggiorativa in appello, dell’accertamento dell’elemento soggettivo del reato.

3.4 Violazione degli articoli 640 e 640 bis c.p. e vizio di motivazione poiché’ il giudice di primo grado aveva colto esattamente l’impossibilità di verificare a fronte di operazioni esistenti e di costi effettivamente sostenuti il quantum dello sconto liberamente operato dalla parte interessata, in base a pregressi accordi sul margine di profitto. La corte di contro ha ritenuto a pagina 10 che l’artifizio sarebbe consistito nell’esporre costi non certi presentandoli come sostenuti, in un momento in cui i soggetti interessati prevedono che quasi sicuramente il finanziamento non avverrà nella misura sperata.

Tale ragionamento è viziato poiché’ le parti avrebbero potuto ottenere il medesimo risultato non già attraverso lo sconto concordato preventivamente con la (OMISSIS), come è avvenuto, bensì aumentando il compenso in un momento successivo allo scioglimento da parte del Ministero della riserva in ordine alla percentuale effettivamente concessa del contributo al finanziamento.

Detto assunto è congetturale poiché’ la corte non ha esaminato ne’ l’entità dei costi sostenuti, ne’ la congruità degli stessi alle fatture presentate al Ministero. Ricorda il ricorrente che la truffa è un reato che presuppone la prova concreta e precisa di una realtà materiale diversa da quella apparente, mentre nel caso di specie attraverso l’emissione della nota di credito le parti hanno dato attuazione ad una clausola contrattuale lecita, che prevedeva una rinunzia parziale al proprio compenso.

3.5 Violazione degli articoli 640 e 640 bis c.p. per la ritenuta sussistenza del dolo della frode e vizio di motivazione poiché’ la corte ha richiamato principalmente a fondamento del proprio convincimento le osservazioni contenute nella sentenza n. 2653 del 15 dicembre 2017 di questa Corte di Cassazione nell’ambito di un procedimento cautelare che poi è stato definito il 22 ottobre 2020 con una sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell’articolo 425 comma tre c.p.p..

La valutazione della Suprema Corte si riferisce ad una situazione cautelare allo stato degli atti di indagini che è stata in seguito approfondita grazie all’acquisizione di ulteriori elementi che hanno portato plurimi giudici di merito a valutare l’insussistenza del reato. 3.6 Vizio di motivazione in relazione all’obbligo di rendere una motivazione rafforzata per superare la pronunzia assolutoria di primo grado. La sentenza impugnata si limita ad un’autoreferenziale esposizione della propria tesi che non può, percio’ solo, avere quella forza persuasiva superiore rispetto alla sentenza precedente, imprescindibile per rispettare il diritto vivente.

3.7 Violazione degli articoli 640 e 640 bis e 316 ter codice penale e vizio di motivazione poiché’, a tutto concedere, la condotta posta in essere integra un’omissione di informazioni dovute per l’erogazione del contributo, ma non sussiste la prova degli artifizi e raggiri richiesti per la truffa. La giurisprudenza ha più volte affermato che la condotta di mero mendacio rientra nel reato di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato e non in quello di truffa aggravata. La corte superato tale censura affermando che la disposizione di cui all’articolo 316 ter c.p. fa salva la sussistenza dell’articolo 640 c.p. e che se è vero che l’unico soggetto responsabile verso il Ministero era il beneficiario, costui come molti altri imprenditori era stato indotto ad attuare il meccanismo truffaldino, nel rispetto delle regole di cui all’articolo 110 c.p. che configurano il concorso nel reato.

Ricorre un vizio di manifesta illogicità poiche’ per un verso la corte attribuisce agli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) l’iniziativa in ordine all’emissione delle note di credito, che prevedeva quale risultato diretto la perdita di una consistente parte degli utili con vantaggio per il solo beneficiario; inoltre l’eventuale comunicazione al Ministero delle note di credito non spettava certamente a (OMISSIS) soggetto coordinatore, ne’ è stato dimostrato che quest’ultima fosse a conoscenza che la (OMISSIS) non avesse provveduto a comunicare al Ministero la successiva restituzione di parte dei costi già sostenuti.

3.8 Violazione dell’articolo 322 ter c.p. e illegittimità della confisca per equivalente della somma di Euro 176.000 in luogo della somma di Euro 38.800 importo superiore ottenuto al netto dei costi effettivamente fatturati e vizio di motivazione poiché’ l’importo illecito percepito, al netto dei costi effettivamente affrontati è pari a 38.000 Euro circa, e la condotta illecita si è sostanziata unicamente in una sovrafatturazione dei costi successivamente esposti nella rendicontazione finale. La circostanza che le somme realmente spese siano state inferiori a quelle rendicontate può determinare una illiceità della condotta unicamente in questa fase, con conseguente quantificazione del profitto al netto dei costi sostenuti. Secondo giurisprudenza consolidata, nel caso in cui l’illecito sia stato commesso nell’ambito di una attività di impresa lecita il provvedimento ablatorio deve essere circoscritto al vantaggio economico tratto dall’attività illecita al netto della utilitas comunque conseguita dalla controparte, in ragione dell’adempimento della prestazione oggetto del contratto. Nessuna di queste problematiche è stata affrontata dalla sentenza impugnata che ha motivato la statuizione della confisca in misura pari all’intero contributo erogato solo per relationem alla sentenza della Corte di Cassazione emessa in sede cautelare e in altro procedimento.

4. (OMISSIS) deduce:

4.1 violazione degli articoli 238 bis e 533 c.p.p. e vizio di motivazione per omessa motivazione rafforzata in ipotesi di overturning di pronunzia assolutoria e omessa valutazione dei precedenti assolutori, poiché’ la corte territoriale trovatasi di fronte al precedente assolutorio e ad altri 13 analoghi provvedimenti, tra cui due sentenze irrevocabili ed altre non ancora irrevocabili, tutti aventi ad oggetto situazioni sovrapponibili per l’assoluta identità delle condotte contestate e tutte riferite alla formazione finanziata dal MIT nell’anno 2012, non ha reso alcuna motivazione rafforzata, limitandosi a ritenersi non vincolata alla decisione degli altri giudici. Così facendo ha violato l’articolo 238 bis c.p.p., in forza del quale le sentenze divenute irrevocabili possono essere acquisite ai fini della prova di fatto in esse accertato e sono valutate a norma degli articoli 187 e 192 comma tre c.p.p. La giurisprudenza ha affermato che laddove le sentenze irrevocabili afferiscono a un medesimo fatto storico il giudice del procedimento nel quale sono prodotte è tenuto a motivare espressamente circa le ragioni per cui è pervenuto a diverse conclusioni rispetto al giudizio già definito in precedenza la cui decisione è elemento da valutare (vedi RV 270658). La corte non ha neppure precisato quali siano le sentenze prodotte dalla difesa, mentre tra queste meritano peculiare menzione quella emessa dalla Corte dei conti sezione giurisdizionale e la sentenza irrevocabile del Tribunale di Verbania, che in caso analogo ha escluso la colpevolezza del (OMISSIS), pur affermando la responsabilità del soggetto beneficiario, ed ancora quella del Tribunale di Milano che ha escluso in capo a tutti gli imputati l’elemento soggettivo del reato loro ascritto.

Giova inoltre ricordare che alla condanna si può pervenire solo se l’imputato risulta colpevole del reato al di là di ogni ragionevole dubbio e nel caso in esame la sequela di provvedimenti liberatori irrevocabili e non, che hanno riguardato i corsi di formazione finanziati nel 2012 dal Ministero, non può non indurre un ragionevole dubbio sulla sua colpevolezza.

4.2 Vizio di motivazione sub specie di travisamento della prova in ordine alla componente oggettiva del reato, in quanto la Corte di appello ha argomentato le proprie conclusioni attraverso l’utilizzo di dati probatori inesistenti o omettendo lo scrutinio di dati probatori di segno opposto che avrebbero portato all’assoluzione dell’imputato. A pagina 7 la sentenza gravata afferma che nell’ipotesi in cui si fossero verificate previsioni di incapienza dei fondi vi sarebbe stato un finanziamento non dovuto in rapporto ai costi effettivi e che già dall’inizio era stato previsto che l’eventuale percezione del contributo in misura maggiore non avrebbe comportato nessuna comunicazione in rettifica, ma non vi è in atti alcuna prova di questo preventivo accordo e si tratta di una inferenza indebita smentita dagli altri giudici; costoro hanno pronunziato le sentenze assolutorie ora divenute irrevocabili, affermando che l’anomalia contabile rilevata dalla Guardia di Finanza non fu il frutto di un accordo truffaldino concluso tra le società beneficiarie del finanziamento, la società coordinatrice e l’ente attuatore, al fine di ottenere dal Ministero l’erogazione di importi maggiori rispetto a quelli effettivamente voluti, quanto piuttosto l’esito di un meccanismo contrattuale volto a regolamentare la ripartizione del rischio di finanziamenti inferiori a quelli chiesti. Di contro la corte ha affermato che la truffa consiste nell’avere rendicontato costi non certi, che già si prevedeva sarebbero stati inferiori, ma anche in questo caso ci troviamo di fronte ad un ragionamento che travisa le emergenze probatorie del processo in quanto la previsione di una riduzione del contributo era tutt’altro che certa dal momento che il 2012 fu l’unico anno in cui il fondo fu incapiente rispetto alle richieste.

La circostanza su cui la sentenza è incorsa nell’errore piu’ evidente è quella relativa al momento genetico della ormai nota clausola contenuta nell’articolo 8 lettera B del contratto che disciplinava i rapporti tra soggetto attuatore e soggetto beneficiario: la corte genovese ritiene che l’accordo sia stato creato ad hoc nel 2013 per aggirare ciò che si temeva, ossia l’insufficienza dei fondi ministeriali per coprire le percentuali a bando, ma la genesi della clausola risale al 2010, ossia dal primo anno in cui il Ministero aveva deciso di finanziare i corsi di formazione.

La corte territoriale si limita ad affermare che la sentenza di primo grado non può essere condivisa perche’ ha desunto l’esclusione del reato dalla legittimità di un segmento della vicenda, mentre la sentenza di ribaltamento deve essere dotata di maggiore forza persuasiva tale da far venir meno ogni ragionevole dubbio sulla responsabilità dell’imputato. Inoltre incorre in errore nella determinazione della percentuale aritmetica di vantaggio che attraverso la clausola contrattuale incriminata ha ricevuto il soggetto beneficiario.

4.3 Vizio di motivazione sulla componente soggettiva poiché’ il collegio desume la prova dell’elemento psicologico di (OMISSIS) dalla circostanza che la clausola truffaldina sarebbe stata ideata da lui e da (OMISSIS) e omette di considerare che la stessa fu sollecitata dal presidente del consorzio attuatore, come affermato dal teste (OMISSIS), il quale ha sottolineato che il beneficiario dell’incentivo alla formazione era l’impresa che presentava la domanda e rendicontava i costi e non il (OMISSIS), che era il soggetto attuatore del corso di formazione. Inoltre, non è stato considerato il ruolo effettivo dell’imputato nell’ambito del consorzio attuatore, ritenendo che questi in quanto consigliere fosse anche il deus ex machina di tutta l’operazione, mentre era semplicemente l’addetto alla formazione e non aveva poteri di rappresentanza e direzione dell’ente, nonostante la carica di consigliere, in quanto la delega di cui è stato investito non comportava alcuna autonomia gestoria, come riferito anche dal teste (OMISSIS).

4.4 Violazione di legge in ordine alla confisca e mancanza di motivazione poiché’ la corte di appello ha disposto la confisca per equivalente sino alla concorrenza dell’intero importo del contributo che il Ministero erogò alla (OMISSIS), in spregio alle disposizioni di cui all’articolo 322 ter c.p.p. che limita i confini del provvedimento ablativo all’ammontare del prezzo o del profitto del reato. Risulta dal capo di imputazione che gli imputati hanno rendicontato al Ministero costi superiori a quelli effettivamente sostenuti dalla cooperativa e avrebbero conseguito un contributo di importo superiore di almeno 38.858 Euro rispetto a quello spettante. Ed infatti la Corte dei conti ha limitato l’importo oggetto della condanna inflitta al solo beneficiario a quello oggetto delle fatture stornate con le note di credito, mentre disponendo la confisca si verrebbe ingiustamente a restituire l’intero importo versato e non soltanto la porzione di contributo non dovuta. 4.5 Violazione dell’articolo 157 cod.pen, in quanto il reato ascritto a (OMISSIS), commesso il (OMISSIS), calcolando i termini di cui all’articolo 161 c.p. e considerando la sospensione COVID di 64 giorni, si e’ prescritto il 5 agosto 2022.

5. Con atto sottoscritto dall’avv. (OMISSIS) propone ricorso anche la (OMISSIS) deducendo:

5.1 mancata declaratoria di inammissibilità dell’appello del pubblico ministero in relazione all’articolo 581 c.p.p. in quanto nell’atto devolutivo non è stato indicato nessun punto specifico della motivazione di primo grado meritevole di censura ed in particolare non erano stati oggetto di specifica devoluzione i punti su cui si incentra la motivazione della corte.

5.2 Violazione degli articoli 640 e 640 bis c.p. e vizio della motivazione poiché’ la corte ha attribuito rilevanza penale a condotte lecite, in quanto difettano i requisiti della truffa e non si ravvisano raggiri e artifizi tesi ad ingannare il Ministero, posto che non viene messa in discussione, ne’ l’effettività dei corsi sostenuti, ne’ la congruità dei costi indicati nelle fatture allegate per ottenere il rimborso. Non si è trattato di una truffa ma di una spontanea rinuncia ad una parte del proprio margine di guadagno da parte dei due fornitori dei servizi, a favore del soggetto che ha effettuato i corsi.

5.3 Illegittimo contrasto tra giudicati per il medesimo fatto poiché’ l’affermazione della corte si pone in contrasto con l’esito delle numerose sentenze che hanno assolto gli altri 60 soggetti percettori denunciati per truffa.

5.4 Violazione degli articoli 5 e 24 Decreto Legislativo n. 8 giugno 2001, e apodittica estensione alla Società (OMISSIS) della responsabilita’ per connessione al reato contestato ad (OMISSIS), poiché’ trattandosi di illecito amministrativo non occorre dimostrare in capo al rappresentante legale la sussistenza dei requisiti per l’imputazione a carico del soggetto responsabile, ma non è sufficiente a fondare il giudizio di responsabilità dell’ente affermare che l’illecito è stato realizzato a suo diretto vantaggio.

5.5 Illegittimità del sequestro dell’intera somma erogata dal Ministero mentre l’importo dell’asserito rimborso non dovuto ammontava a Euro 38.858.

6.(OMISSIS) S.r.l. con ricorso, deduce:

6.1 estinzione dell’illecito amministrativo addebitato ex articolo 5 comma 1 decreto legislativo 231/2000 alla società (OMISSIS) in ragione della sopravvenuta cancellazione della predetta società dal registro delle imprese. In subordine rimessione alle Sezioni unite di questa Corte in quanto risulta dalla visura camerale allegata al ricorso che alla data del 22 settembre 2022 risulta perfezionata la cancellazione dal registro delle imprese della società ricorrente. Ciò comporta la necessita’ di pervenire ad una declaratoria di estinzione dell’illecito amministrativo, come affermato da questa Corte di Cassazione con sentenza del 10 settembre 2019 numero 41082.

6.2 Inammissibilità dell’impugnazione interposta dal pubblico ministero e vizio di motivazione dell’ordinanza con cui è stata respinta l’eccezione formulata dalle difese. 6.3 Vizio di motivazione in quanto per valutare come false le fatture emesse dalla società e presentate in sede di rendicontazione bisognava conoscere l’importo dei costi effettivi sostenuti, mentre nel caso di specie non vi è la prova che sia stata rappresentata una realtà diversa da quella che appariva dalle fatture e dal rendiconto presentato, come affermato nella sentenza di primo grado.

6.4 Violazione dell’articolo 5 comma 1 decreto legislativo 231/ 2001 e vizio di motivazione poiché’ la corte ha affermato che essendo gli imputati legali rappresentanti degli enti avrebbero operato nell’esclusivo interesse degli stessi e non solo a vantaggio personale. Come è noto il criterio di imputazione oggettivo della responsabilita’ degli enti prevede che il reato sia realizzato da un soggetto apicale o subordinato e che la persona fisica abbia agito nell’interesse dell’ente collettivo, ma nel caso di specie e’ stata attribuita alla societa’ (OMISSIS) s.r.l. la responsabilita’ per delle note di credito che sono state emesse dalla ditta individuale (OMISSIS); inoltre manca qualunque interesse o vantaggio della societa’ in relazione ai fatti per cui si procede, in quanto in seguito all’emissiione della nota di credito la societa’ ha subito un danno patrimoniale e non e’ possibile individuare il preteso interesse, considerato che (OMISSIS) non e’ neppure soggetto coordinatore.

6.5 Violazione dell’articolo 11 comma due Decreto Legislativo n. 231 del 2001 in relazione all’applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria per complessivi 38.700 Euro pari a 150 quote, in quanto la sentenza non ha fornito alcuna indicazione in merito ai criteri utilizzati per tale quantificazione.

6.6 Violazione di legge per illegittimita’ della confisca per equivalente della somma di Euro 176.000 circa, pari all’intero importo del contributo erogato, in luogo della somma di Euro 38.858, pari all’importo ottenuto al netto dei costi effettivamente fatturati, e carenza di motivazione sul punto. La Corte non ha fornito al riguardo alcuna motivazione limitandosi a richiamare le argomentazioni contenute nella sentenza della Suprema Corte emessa in sede cautelare e relativa ad altro procedimento.

7.(OMISSIS) deduce due motivi di ricorso:

7.1 violazione degli articoli 640 e 640 bis codice penale poiche’ proprio la motivazione della corte di appello richiama la decisione della Corte dei conti che ha escluso per un altro finanziamento analogo la responsabilita’ di (OMISSIS) per mancanza di prova dell’accordo fraudolento preventivo, ritenendo la responsabilita’ contabile del soggetto che aveva percepito il contributo, che nel caso in esame si identifica nel coimputato (OMISSIS). Il ricorrente solleva un problema di sussistenza dell’elemento soggettivo poiche’ non emergerebbe la prova che tutti gli imputati abbiano aderito all’accordo con intento fraudolento; non vi e’ stato nel caso di specie alcuna truffa dal momento che allorquando vennero comunicate al Ministero, le fatture indicavano gli esatti costi sostenuti dal soggetto beneficiario.

7.2 Violazione degli articoli 5 e 24 decreto legislativo 231/2001 poiche’ la legge prevede la responsabilita’ dell’ente solo in caso di interesse o di vantaggio rispetto alla condotta penalmente rilevante e nel caso in esame non e’ emersa la prova di tale vantaggio considerato che la societa’ ha sostanzialmente e restituito parte del suo profitto. Inoltre, la sentenza si sofferma a motivare sulla responsabilita’ di (OMISSIS) srl, ma non spende una sola parola a sostegno della responsabilita’ del (OMISSIS).

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono fondati e comportano l’annullannentq/ senza rinvio, della sentenza impugnata per le ragioni che verranno esposte.

La vicenda processuale ha per oggetto finanziamenti pubblici destinati allo specifico settore degli autotrasporti con vincolo di destinazione alla formazione professionale.

Il fatto da cui e’ scaturito il procedimento e’ pacifico e non e’ oggetto di contestazione da parte dei ricorrenti: in forza di una precisa clausola contrattuale intercorsa tra la (OMISSIS) (OMISSIS), di cui e’ rappresentante legale (OMISSIS), e le societa’ (OMISSIS) srl., di cui e’ rappresentante legale (OMISSIS), e (OMISSIS), di cui e’ rappresentante legale (OMISSIS), che hanno realizzato e coordinato i corsi di formazione professionale in favore del personale della (OMISSIS), nell’ipotesi in cui all’esito della rendicontazione il contributo versato dal Ministero fosse stato inferiore al 70 per cento dei costi affrontati e rendicontati, le societa’ (OMISSIS) e (OMISSIS) avrebbero restituito una parte delle somme ricevute dalla (OMISSIS) e da questa fatturate come costi. Poiche’ nell’anno 2012 il contributo del Ministero venne erogato in misura inferiore al 70% dei costi rendicontati, le due societa’ (OMISSIS) e (OMISSIS) emisero note di credito restituendo alla (OMISSIS) una somma complessiva pari a circa 80.000 Euro; in tal modo consentirono a quest’ultima societa’ di ricevere un contributo in proporzione maggiore di Euro 38.858,10, rispetto ai costi gia’ comunicati al Ministero come effettivamente sostenuti.

La sentenza di primo grado aveva assolto gli imputati affermando che mancava la prova della fittizieta’ dei costi indicati nel rendiconto e che le note di credito erano la parte terminale di un contratto legittimo, in quanto i due enti creditori della (OMISSIS) avevano ridotto a posteriori, rispetto all’erogazione del finanziamento concesso, l’ammontare del loro profitto.

La corte, accogliendo l’appello proposto dal pubblico ministero ha ritenuto, previa rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, di ribaltare il giudizio assolutorio in quanto e’ emerso pacificamente che la somma erogata a (OMISSIS) e a (OMISSIS) srl. dalla (OMISSIS) per la prestazione svolta, attraverso il meccanismo preventivamente concordato delle note di credito emesse successivamente alla rendicontazione, e’ risultata inferiore a quella gia’ comunicata al Ministero, in relazione alla quale era stato determinato e liquidato il contributo.

2. Per evitare inutili appesantimenti nell’esposizione, sembra opportuno esaminare per primo il ricorso (OMISSIS), che propone diversi motivi di censura comuni anche agli altri ricorrenti.

2.1 II primo motivo di ricorso relativo alla pretesa inammissibilita’ della impugnazione del pubblico ministero (quarto motivo del ricorso (OMISSIS); primo motivo del ricorso (OMISSIS); secondo motivo del ricorso (OMISSIS)) e’ manifestamente infondato poiche’ il pubblico ministero, dopo avere riportato nell’atto di appello integralmente la motivazione di altra pronuncia di questa Corte, resa su analoga questione in sede cautelare, ha sinteticamente esposto le ragioni a sostegno dell’impugnazione, sottolineando la rilevanza penale della condotta posta in essere dagli imputati. Al riguardo ha osservato che la responsabilita’ prescinde dal fatto che i corsi sono stati svolti e i pagamenti sono stati effettuati, in quanto ai fini penali rileva il fatto indiscutibilmente provato che le parti si fossero previamente accordate nel senso che le societa’ organizzatrici dei corsi avrebbero restituito parte delle somme, fatturate e rendicontate come costi da parte della (OMISSIS) al Ministero; grazie a questo meccanismo quest’ultima societa’ aveva usufruito del contributo statale in misura superiore a quanto in effetti gli sarebbe spettato, poiche’ aveva esposto costi che poi non aveva sostenuto, grazie al sistema concordato delle successive restituzioni ed emissioni di note di credito, che non sono state comunicate al Ministero. La lettura dell’atto di appello consentiva di comprendere le ragioni poste a sostegno dell’impugnazione, e tanto basta a ritenerla ammissibile.

2.2 L’eccezione processuale dedotta con il secondo motivo di ricorso e’ manifestamente infondata.

La decisione della Corte Edu nel procedimento Maestri c. Italia del 8 luglio 2021 ha affermato il principio della necessita’ di assumere l’esame dell’imputato in caso di ribaltamento nel giudizio di appello della pronuncia assolutoria, in forza della necessita’ di una nuova valutazione delle dichiarazioni rese in primo grado che siano state ritenute decisive ai fini dell’assoluzione. In linea con la giurisprudenza Europea, questa Corte ha gia’ affermato il principio secondo cui la necessita’ per il giudice dell’appello di procedere, anche d’ufficio, alla rinnovazione dibattimentale della prova dichiarativa nel caso di riforma della sentenza di assoluzione sulla base di un diverso apprezzamento dell’attendibilita’ di una dichiarazione ritenuta decisiva, non consente distinzioni a seconda della qualita’ soggettiva del dichiarante e vale anche per l’imputato che abbia reso dichiarazioni “in causa propria” e dal cui rifiuto non potrebbe, tuttavia, conseguire alcuna preclusione all’accoglimento della impugnazione (Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267488).

E’ stato tuttavia precisato, in tema di rinnovazione della prova dichiarativa, che la necessita’ di assumere l’esame dell’imputato in caso di riforma della sentenza assolutoria rientra in quella, piu’ generale, di rinnovazione della prova dichiarativa di natura decisiva, sicche’ la stessa non sussiste ove, nel corso del giudizio di primo grado, sia mancata l’assunzione delle dichiarazioni dell’imputato o la valutazione probatoria da parte dei giudici dei due gradi di merito sia stata incentrata su risultanze istruttorie diverse rispetto a tale atto, non oggetto di esame alcuno. (Sez. 6 -, Sentenza n. 27163 del 05/05/2022 Ud. (dep. 13/07/2022) Rv. 283631 – 01; Sez. 3 -, Sentenza n. 16131 del 20/12/2022 Ud. (dep. 17/04/2023) Rv. 284493 – 02).

Nel caso in esame, invece, il ribaltamento della pronunzia di primo grado dipende da una diversa valutazione giuridica della condotta ascritta e non da una diversa

ricostruzione in punto di fatto, sicche’ la riapertura dell’istruttoria dibattimentale

effettuata dai giudici di appello non si pone in contrasto con alcuna sentenza o principio affermato dalla Corte di giustizia e nel contempo non rende necessario l’esame

dell’imputato, neppure alla stregua dei principi convenzionali. (OMISSIS) peraltro non ha reso esame nel corso del giudizio, ne’ le sue dichiarazioni hanno assunto rilevanza ai fini del ribaltamento della pronunzia assolutoria.

2.3 Anche la terza censura proposta con il ricorso (OMISSIS) e’ manifestamente infondata. Va rilevato che l’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite della Prima Sezione penale sugli effetti della sentenza Maestri c. Italia della Corte EDU e’ stata restituita alla Sezione dal Presidente aggiunto con provvedimento emesso in data 17 gennaio 2022, sulla base del rilievo fondamentale, che si condivide, secondo cui non si possono ravvisare nell’anzidetta decisione della Corte di Strasburgo i requisiti per ritenere affermato un nuovo diverso principio in ordine al fatto che l’articolo 6 della CEDU imponga sempre la citazione dell’imputato per rendere esame, anche quando nel corso del giudizio di primo grado sia mancata l’assunzione delle dichiarazioni dell’imputato e la valutazione da parte dei giudici dei due gradi di merito sia stata incentrata su risultanze istruttorie diverse rispetto a tale atto istruttorio, non oggetto di alcuna valutazione.

Una differente interpretazione del principio affermato nella citata sentenza Maestri si porrebbe anche in contrasto con i criteri indicati dalla Corte Costituzionale n. 49 del 2015 per attribuire valenza generale vincolante alle decisioni della Corte Edu, che hanno come punto di riferimento imprescindibile il caso concreto specificamente trattato e che solo rispetto a casi analoghi potrebbero assumere il valore di affermazione di un principio generale, tenuto conto delle peculiarita’ del caso deciso e sempre che la decisione adottata sia espressione di un orientamento definitivo, che costituisce “diritto consolidato” generato dalla giurisprudenza Europea.

Nel caso oggetto del presente giudizio, il cd. overturning da parte della corte di merito e’ stato basato sulla diversa valutazione giuridica del compendio documentale, senza alcuna correlazione con dichiarazioni rese dall’imputato, neppure assunte nel corso del giudizio di primo grado. Risultano evidenti, quindi, la diversita’ del caso in esame da quello deciso dalla Corte Edu richiamata dal ricorrente e l’assenza di ragioni per ritenere necessario che nel giudizio di appello si dovesse sollecitare o disporre l’esame dell’imputato per la valutazione delle prove documentali poste a fondamento della decisione di condanna.

La denunzia di contrasto con il dettato costituzionale non ha pertanto alcun fondamento. 2.4 II quarto motivo e’ manifestamente infondato poiche’ e’ evidente e non e’ affatto congetturale che i costi sostenuti dal (OMISSIS) sono stati inferiori a quelli rendicontati al Ministero, nel rispetto della clausola sottoscritta e quindi di un accordo intervenuto precedentemente, in forza del quale i soggetti attuatori dei corsi di formazione dopo la rendicontazione hanno restituito parte del denaro che avevano gia’ ricevuto rilasciando fattura, cosi’ consentendo a (OMISSIS) di ridurre a posteriori l’importo di costi gia’ comunicati al Ministero.

La corte ha osservato che il finanziamento veniva liquidato sulla base dei costi rendicontati e la parziale restituzione delle somme fatturate dalle societa’ (OMISSIS) e (OMISSIS) non e’ stata comunicata al ministero, e ne ha desunto la conclusione, logicamente ineccepibile, che la cooperativa citata, grazie al consapevole contributo dei coimputati, preventivamente concordato, ha usufruito di un contributo statale in misura superiore a quanto effettivamente dovutogli. Di conseguenza tutte le censure di merito alla sussistenza del dolo da parte dei ricorrenti sono manifestamente infondate poiche’ gli stessi hanno concordato e poi dato esecuzione ad una specifica clausola dei cui effetti erano a perfetta conoscenza.

2.5 La quinta censura e’ infondata poiche’ la corte di appello ha sviluppato un proprio ragionamento per pervenire all’affermazione di responsabilita’ penale dei ricorrenti, nel rispetto dei principi e criteri stabiliti da questa Corte Suprema di Cassazione, e ha richiamato la decisione della Corte dei conti, che ha ritenuto la responsabilita’ contabile del soggetto che aveva percepito il contributo, per aver omesso di trasmettere al Ministero le informazioni dovute in ordine all’effettivo ammontare dei costi sostenuti. Quanto alla posizione dell’ (OMISSIS) e’ evidente che proprio la predisposizione della clausola contrattuale palesa la consapevolezza da parte del predetto e del (OMISSIS) dell’accordo fraudolento preventivo, riproposto anche in altre contrattazioni relative a corsi di formazione, a riprova di un meccanismo illecito consolidato che consentiva al singolo imprenditore di attenuare il rischio di una riduzione del contributo e ai soggetti attuatori di proporsi con un’offerta contrattuale maggiormente competitiva ed appetibile, proprio in ragione di questo meccanismo delle restituzioni a posteriori. La costatazione che la clausola sia stata ab origine concordata conferma la precipua volonta’ di aggirare il rischio di una riduzione del contributo pubblico, attivando un meccanismo fraudolento.

2.6 Anche la sesta censura e’ manifestamente infondata poiche’ la corte di appello ha affermato la rilevanza penale della condotta ascritta e, nel ribaltare la pronunzia assolutoria di primo grado, ha fornito adeguata contezza delle ragioni poste a sostegno del proprio ragionamento, che risulta conforme ai principi dettati dalla giurisprudenza di legittimita’, il cui compito e’ quello di garantire l’omogeneita’ delle decisioni e di stabilire i principi generali che i singoli giudici di merito devono poi applicare alle diverse fattispecie concrete sottoposte al loro giudizio.

2.7 in settimo motivo e’ fondato.

Al fine di individuare il discrimen tra la fattispecie di truffa e quella di indebita percezione di erogazioni pubbliche, occorre muovere dall’insegnamento delle Sezioni Unite di cui alla citata sentenza n. 16568 del 19/04/2007, Carchivi, che ha stabilito in primis che l’applicazione dell’articolo 316-ter c.p. deve avere carattere residuale e consono alla sua natura di norma volta ad “estendere la punibilita’ a condotte decettive non incluse nella fattispecie di truffa” (fg. 7 della sentenza Carchivi), come dimostra anche il fatto che il legislatore, nel delineare la fattispecie, ha previsto una apposita clausola di riserva (“salvo che il fatto costituisca il reato previsto dall’articolo 640-bis c.p. “). E tale carattere residuale, indirizzato a limitare la portata applicativa dell’articolo 316-ter c.p. a “situazioni del tutto marginali”, ne riduce l’ambito a condotte come “il silenzio antidoveroso”, ovvero a quelle che non inducano “effettivamente in errore l’autore della disposizione patrimoniale”.

La successiva sentenza delle Sezioni unite di questa Suprema Corte (n. 7537 del 16/12/2010, dep. 2011, Pizzuto) ha ribadito tutti i citati principi, rimarcando ancora il carattere sussidiario e residuale dell’articolo 316-ter c.p. rispetto alla truffa (anche citando, in proposito, l’ordinanza della Corte Cost. n. 95 del 2004), la valutazione in concreto e caso per caso dell’accertamento in ordine alla sussistenza degli artifici e raggiri e della induzione in errore, stabilendo che “l’articolo 316-ter c.p. punisce condotte decettive non incluse nella fattispecie di truffa, caratterizzate (oltre che dal silenzio antidoveroso) da false dichiarazioni o dall’uso di atti o documenti falsi, ma nelle quali l’erogazione non discende da una falsa rappresentazione dei suoi presupposti da parte dell’ente pubblico erogatore, che non viene indotto in errore perche’ in realta’ si rappresenta solo l’esistenza della formale attestazione del richiedente” (fgg. 7 e 8 della sentenza SS.UU. Pizzuto).

Alla stregua di questi parametri valutativi, deve concludersi che le attivita’ realizzate dai coimputati, concordando un meccanismo di restituzioni eventuali e successive alla rendicontazione ed omettendo di darne comunicazione al Ministero, integrano la fattispecie meno grave di cui all’articolo 316 ter c.p. poiche’ la predisposizione di una clausola come quella pattuita tra le parti dimostra l’accordo teso a presentare una rendicontazione che potrebbe in ipotesi non corrispondere alla realta’ dei costi; ma nel caso specifico gli imputati hanno realizzato l’ingiusto profitto attraverso una condotta successiva alla rendicontazione e meramente omissiva, non comunicando al Ministero la parziale restituzione delle somme gia’ fatturate dalle societa’ e inserite come costi nel rendiconto. Non residuano dubbi al riguardo in ordine alla consapevolezza da parte di tutti gli imputati dell’omessa comunicazione al Ministero di tale successiva riduzione dei costi, poiche’ la clausola poteva realizzare il proprio scopo di tutela degli interessi del beneficiario rispetto al rischio di una minore contribuzione solo attraverso tale omissione.

La diversa qualificazione giuridica ex articolo 316 ter c.p. della condotta ascritta agli imputati, che hanno contribuito a rendere possibile l’indebita percezione da parte del (OMISSIS) e della (OMISSIS) di un contributo statale in misura superiore a quanto il beneficiario avrebbe avuto diritto, comporta l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata in quanto incide sui termini di prescrizione che sono maturati nell’agosto 2022, considerando anche le sospensioni intervenute nel corso del giudizio.

2.8 Per completezza di esposizione, va osservato che la quinta censura del ricorso (OMISSIS) e il primo motivo del ricorso (OMISSIS), con cui si deduce la pretesa violazione dell’articolo 699 c.p.p. sono infondati, poiche’ il giudice di merito non e’ tenuto ad uniformarsi ai pronunciamenti di altre autorita’ giudiziarie se non in punto di fatto, mentre nel caso in questione i fatti contestati sono pacifici e non sono stati oggetto di censura e la diversa valutazione attiene alla rilevanza penale della condotta posta in essere.

Le censure relative al trattamento sanzionatorio rimangono assorbite dalla intervenuta prescrizione del reato.

2.9 Fondate risultano anche le censure in ordine alla quantificazione della confisca avanzate da parte di tutti i ricorrenti.

Al riguardo va osservato che la corte di appello non offre adeguata motivazione in quanto si limita a richiamare la pronunzia di questa Corte resa nella fase cautelare di altro analogo procedimento, che aveva ritenuto la legittimita’ del sequestro preventivo dell’intero importo del contributo erogato in favore del beneficiario.

Va di contro rilevato che anche quella pronunzia ribadiva la necessita’ di rapportare le statuizioni e il quantum della confisca alla concreta situazione oggetto del giudizio e, nel caso in esame, all’esito dell’istruttoria dibattimentale non puo’ trascurarsi che il contributo era stato erogato in relazione a costi rendicontati ed effettivamente sostenuti e soltanto in una fase successiva, sia pure in forza di un preventivo accordo con le societa’ delegate alla realizzazione dei corsi, il beneficiario del contributo aveva potuto indebitamente recuperare somme gia’ versate e rendicontate al MIT come costi, omettendo di darne debita comunicazione e cosi’ usufruendo di una indebita maggiore percentuale del contributo riscosso nella misura indicata nel capo di imputazione.

Alla stregua di queste considerazioni e in ragione della diversa qualificazione giuridica della condotta ascritta agli imputati, l’entita’ della confisca deve essere ridotta alla somma di Euro 38.858,10, che corrisponde all’effettiva indebita percezione della erogazione pubblica procurata dalla condotta illecita, determinata, come si e’ gia’ esposto, dalla restituzione di somme gia’ inserite come costi nella rendicontazione finale della Societa’ (OMISSIS).

3.Passando ora ad esaminare i ricorsi proposti dagli enti, deve preliminarmente rilevarsi che dagli accertamenti eseguiti risulta che l’avv. (OMISSIS), procuratore speciale che sottoscrive il ricorso della (OMISSIS), non risulta iscritto all’albo dei difensori abilitati a svolgere il patrocinio legale dinanzi alle giurisdizioni superiori; ne consegue l’inammissibilita’ del ricorso da lui sottoscritto.

Ed infatti in forza dell’articolo 613 c.p.p., l’atto di ricorso, salvo che la parte non vi provveda personalmente, deve essere sottoscritto, a pena d’inammissibilita’, da difensore iscritto nell’albo speciale della corte di cassazione (comma 1). La causa d’inammissibilita’ del ricorso, che consegue al difetto del titolo abilitativo e, pertanto, della legittimazione del difensore, e’ ritenuta, secondo costante orientamento di legittimita’, dipendente da vizio originario dell’atto, che lo rende inidoneo alla finalita’ processuale perseguita e non e’ sanato anche dal successivo conseguimento da parte del difensore della particolare legittimazione richiesta, ne’ dai motivi nuovi presentati da difensore cassazionista dopo la scadenza del termine per impugnare (tra le altre, Sez. 1, n. 45393 del 16/11/2011, Tedeschi, Rv. 251464; Sez. 4, n. 35830 del 27/06/2013, Hasani, Rv. 256835).

Conseguentemente, l’omessa abilitazione al patrocinio di legittimita’ impedisce al difensore di proporre il ricorso e di esercitare le facolta’ correlate all’esercizio del mandato difensivo, in essa compresa l’investitura di altro difensore del potere di patrocinio di legittimita’, che non ha, e al difensore -non legittimamente investito di tale potere e non titolare, in quanto sostituto, di soggettivita’ difensiva autonoma- di esercitarlo.

4.Ricorso (OMISSIS):

4.1 Il primo motivo di ricorso non puo’ trovare accoglimento poiche’ secondo la piu’ recente giurisprudenza di questa Corte, che il collegio condivide, la cancellazione dell’ente dal registro delle imprese non determina l’estinzione dell’illecito previsto dal Decreto Legislativo n. 8 giugno 2001, n. 231, commesso nell’interesse ed a vantaggio dello stesso. (Fattispecie relativa alla responsabilita’ di una societa’ di capitali per l’illecito previsto dall’articolo 25-septies, comma 3, del citato D.Lgs., in relazione al reato di cui all’articolo 590 c.p., in cui la Corte ha precisato che all’estinzione della persona giuridica consegue il passaggio diretto della titolarita’ dell’impresa ai singoli soci, non venendo meno i rapporti sorti anteriormente allo scioglimento). (Sez. 4 -, Sentenza n. 9006 del 22/02/2022 Ud. (dep. 17/03/2022) Rv. 282763 – 01)

Tale affermazione sembra porsi in contrasto con la sentenza richiamata dal ricorso, la n. 41082 resa da questa Corte il 10 settembre 2019, in quanto quest’ultima pronunzia valorizzando l’articolo 35 del citato decreto legislativo/che estende all’ente le disposizioni relative all’imputato, ha ritenuto che la cancellazione dal registro delle imprese comporta il venir meno della persona giuridica e quindi la conseguente impraticabilita’ di quelle sanzioni relative e connesse alla sua attivita’.

Va tuttavia precisato che quella pronunzia si riferiva ad un’ipotesi di cancellazione fisiologica per chiusura del fallimento della societa’, in cui non poteva neppure darsi luogo al fenomeno successorio in forza del quale i rapporti obbligatori facenti capo all’ente non si estinguono, ma si trasferiscono ai soci, che ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione. Nel caso in esame la cancellazione non risulta cagionata da motivazioni fisiologiche e potrebbe anzi costituire un commodus discessus per sottrarsi alle conseguenze di una pronunzia giudiziaria. Il collegio ritiene preferibile il principio affermato dalla piu’ recente pronunzia in quanto la cancellazione della societa’ puo’ certamente porre un problema di soddisfacimento del relativo credito, ma non un problema di accertamento della responsabilita’ dell’ente per fatti anteriori, responsabilita’ che nessuna norma autorizza a ritenere elisa per effetto della cancellazione dell’ente stesso.

4.2 Le censure con cui si deducono l’inammissibilita’ dell’appello proposto dal pubblico ministero e l’insussistenza della prova in ordine alla fittizieta’ del rendiconto non possono trovare accoglimento per le ragioni gia’ esposte in relazione al ricorso proposto da (OMISSIS).

4.3 Il quarto motivo di ricorso e’ fondato.

La giurisprudenza di legittimita’ ha gia’ chiarito, quanto ai rapporti strutturali tra illecito ascritto alla persona giuridica e il reato-presupposto compiuto dalla persona fisica, che all’accertamento del reato commesso dalla persona fisica deve necessariamente seguire la verifica sul tipo di inserimento di questa nella compagine societaria e sulla sussistenza dell’interesse ovvero del vantaggio derivato all’ente: solo in presenza di tali elementi la responsabilita’ si estende dall’individuo all’ente collettivo, solo, cioe’, in presenza di criteri di collegamento teleologico dell’azione del primo all’interesse o al vantaggio dell’altro, che risponde autonomamente dell’illecito “amministrativo”.

La giurisprudenza di legittimita’ ha chiarito che l’illecito dell’ente non si identifica con il reato commesso dalla persona fisica, ma semplicemente lo presuppone e che l’illecito “amministrativo” ascrivibile all’ente non coincide con il reato, ma costituisce qualcosa di diverso, che addirittura lo ricomprende (cosi’, Sez. 6, n. 2251 del 05/10/2010, Fenu, Rv. 248791).

L’ente, soggetto diverso dalla persona, e’ quindi responsabile di un fatto illecito proprio, costruito nella forma di fattispecie complessa, della quale il reato e’ un presupposto, unitamente alla qualifica soggettiva della persona fisica e alla sussistenza dell’interesse o del vantaggio.

Partendo da tali premesse, si e’ aggiunto che il reato commesso dal soggetto inserito nella compagine dell’ente, in vista del perseguimento dell’interesse o del vantaggio di questo, e’ sicuramente qualificabile come “proprio” anche della persona giuridica; tuttavia la responsabilita’ della persona fisica si estende dall’individuo all’ente collettivo solo a condizione che siano individuati “precisi canali che colleghino teleologicamente l’azione dell’uno all’interesse dell’altro e, quindi, gli elementi indicativi della colpa di organizzazione dell’ente, che rendono autonoma la responsabilita’ del medesimo ente”. Nel caso in esame la corte di merito ha reso una motivazione apparente, poiche’ si e’ limitata ad affermare apoditticamente che gli imputati, essendo legali rappresentanti degli enti, hanno certamente operato nell’esclusivo interesse degli stessi, senza fornire adeguata argomentazione atta ad escludere che i detti rappresentanti abbiano agito nel proprio esclusivo interesse e senza valutare come il reato presupposto abbia procurato vantaggio alla persona giuridica.

Si impone pertanto l’annullamento della motivazione in ordine alla responsabilita’ della societa’ (OMISSIS), con rinvio alla Corte di appello di (OMISSIS) che rivalutera’ la sussistenza dei requisiti necessari per affermare la responsabilita’ giuridica dell’ente ricorrente.

L’accoglimento del quarto motivo di ricorso assorbe le altre censure proposte da (OMISSIS) srl. in ordine alla sanzione e alla confisca.

Giova comunque al riguardo ricordare che in tema di responsabilita’ da reato degli enti, qualora l’illecito penale presupposto sia quello di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, e’ obbligatorio procedere alla confisca per equivalente del profitto del reato (ed e’ quindi legittimo il sequestro preventivo funzionale alla medesima), non trovando applicazione il disposto di cui al comma 1 dell’articolo 322 ter c.p., per cui, in relazione ai delitti contro la P.A., puo’ procedersi alla confisca di valore solo in riferimento al prezzo del reato. (Sez. 6, Sentenza n. 14973 del 18/03/2009 Cc. (dep. 07/04/2009) Rv. 243507 – 01).

5. (OMISSIS):

Il secondo motivo di ricorso e’ fondato per le medesime ragioni gia’ esposte al paragrafo 4.3, poiche’ la corte di appello ha reso una motivazione apodittica in ordine alla affermazione di responsabilita’ amministrativa della persona giuridica, senza argomentare circa la sussistenza del vantaggio conseguito dal (OMISSIS) in relazione alla condotta illecita posta in essere dal (OMISSIS), anche in ragione del suo ruolo nell’ambito dell’ente, e dagli altri imputati.

Si impone l’annullamento della sentenza limitatamente all’affermazione di responsabilita’ amministrativa dell’ente ricorrente con rinvio alla Corte di appello di (OMISSIS) per le sue determinazioni.

6. Poiche’ la sentenza e’ stata annullata relativamente alla responsabilita’ delle persone giuridiche per motivi non soggettivi, in ragione dell’effetto estensivo dell’impugnazione, va disposto l’annullamento della sentenza anche nei confronti della Societa’ (OMISSIS) (OMISSIS), il cui ricorso e’ inammissibile, con rinvio alla Corte di appello di (OMISSIS) che rivalutera’ anche nei confronti della detta societa’ la sussistenza dei presupposti per affermare la responsabilita’ amministrativa dell’ente.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) perche’ il reato loro ascritto, riqualificato ai sensi dell’articolo 316 ter c.p., e’ estinto per prescrizione.

Ridetermina la confisca disposta nei loro confronti nella misura di Euro 38.858,10. Rigetta nel resto i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).

Annulla la sentenza impugnata nei confronti della societa’ (OMISSIS) e (OMISSIS) srl e, per l’effetto estensivo, della (OMISSIS) con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di (OMISSIS).

2023-10-02T17:07:47+02:00 20 Ottobre 2023|