La Cassazione ha precisato che non è il titolo lecito del possesso a porre il detentore nel ruolo di vittima ma il potere di disporre del bene.
Quindi ha diritto di querela in quanto riveste la figura di parte offesa dal reato, l’addetto all’esercizio dell’attività commerciale che non sia titolare dell’attività e che non abbia alcuna rappresentanza del titolare. L’addetto ha una detenzione qualificata.
La Cassazione con la sentenza n° 11478/2023 ha affermato che il principio espresso per il reato di furto possa essere esteso anche alla truffa.
Inoltre la stessa ha precisato che persona offesa dal reato di furto è colui che si trova nel possesso del bene al momento della sottrazione. Per questo si deve intendere per possesso una definizione più ampia che ricomprenda la detenzione qualificata del bene. Ovvero il potere di disporre del bene.
Infatti, la configurabilità del reato di truffa o furto sussiste anche ove lo spossessamento sia avvenuto nei confronti, del detentore qualificato.
CORTE SUPREMA Dl CASSAZIONE
QUINTA SEZIONE PENALE
17 marzo 2023 n. 11478
RITENUTO IN FATTO
1. La sentenza impugnata è stata pronunziata il 18 ottobre 2021 dalla Corte di appello di Perugia, che ha confermato la sentenza del Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Perugia che, all’esito di giudizio abbreviato, aveva condannato (OMISSIS) per i reati di furto, insolvenza fraudolenta, fabbricazione di documento di identità falso e truffa tentata.
Secondo l’ipotesi accusatoria, ritenuta fondata dai giudici di merito, l’imputata, in concorso con altra persona, avrebbe posto in essere le seguenti condotte: si sarebbe recata presso un ristorante di Città di Castello, fingendosi una cliente e ordinando da mangiare, ma in realtà con l’intenzione di commettere furti in danno degli altri avventori ed avendo già programmato di non pagare il conto malgrado la consumazione del pasto; si sarebbe impossessata di un cellulare, di un libretto di deposito rilasciato dalla Coop e di un portafoglio, sottraendoli alla persona offesa, (OMISSIS), che li custodiva all’interno della propria borsa, che aveva appoggiato sullo schienale della sedia del ristorante ove stava pranzando; avrebbe contraffatto la carta d’identità della (OMISSIS), custodita nel portafoglio rubato, apponendovi la propria fotografia, per poi presentarsi presso un centro commerciale Coop con il libretto di deposito parimenti sottratto alla vittima, chiedendo di prelevare la relativa somma di denaro depositata.
2. Avverso la sentenza della Corte di appello, l’imputata ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del difensore di fiducia.
2.1. Con un primo motivo, deduce il vizio di erronea applicazione della legge penale, in relazione all’art. 497-bis cod. pen.
Sostiene che, nel caso in esame, sarebbe configurabile un falso grossolano, atteso che la carta di identità della persona offesa sarebbe stata contraffatta mediante la palese applicazione sul documento della fotografia del permesso di guida dell’imputata.
2.2. Con un secondo motivo, deduce il vizio di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 640 cod. pen. e 336 cod. proc. pen.
La ricorrente sostiene che: la persona offesa del reato di truffa tentata non sarebbe la (OMISSIS), bensì la “Coop”; l’unica querela riferibile alla “Coop” sarebbe quella presentata dalla signora (OMISSIS), che, però, sarebbe una mera impiegata, priva di qualsiasi procura che le conferisse i poteri di proporre denunce e querele per conto della società.
I giudici di merito, pertanto, avrebbero dovuto rilevare il difetto di querela in relazione al reato di truffa tentata.
3. Il Sostituto Procuratore generale, nelle sue conclusioni scritte, ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
4. Avv. (OMISSIS), per l’imputato, ha depositato memoria scritta con la quale ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
1.1. Il primo motivo è inammissibile.
Esso, invero, è privo di specificità, perché meramente reiterativo di identiche doglianze proposte con i motivi di gravame, disattese nella sentenza impugnata con corretta motivazione in diritto e congrua e completa argomentazione in punto di fatto, con le quali la ricorrente non si è effettivamente confrontata.
La Corte di appello, in particolare, ha rilevato che, nel caso in esame, era da escludere la grossolanità del falso, atteso che l’apposizione della fotografia dell’imputata sulla carta d’identità della persona offesa, per essere percepita come il risultato di una contraffazione, imponeva un esame particolarmente approfondito da parte di un occhio attento, pronto a cogliere la sovrapposizione. Ha posto in rilievo, inoltre, che i dipendenti addetti allo sportello avevano bloccato l’operazione non per essersi accorti della contraffazione, ma poiché già informati del furto del libretto di deposito.
Si tratta di argomentazioni prive di vizi logici e perfettamente in linea con la giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale la grossolanità della contraffazione, che dà luogo al reato impossibile, si apprezza solo quando il falso sia “ictu oculi” riconoscibile da qualsiasi persona di comune discernimento e avvedutezza e non si debba far riferimento né alle particolari cognizioni ed alla competenza specifica di soggetti qualificati, né alla straordinaria diligenza di cui alcune persone possono esser dotate (Sez. 5, n. 6873 del 06/10/2015, Carillo, Rv.266417; Sez. 5, n. 15122 del 18/02/2020, Angius, Rv. 279153).
1.2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
La Corte di appello, invero, ha correttamente rilevato che: la (OMISSIS) rivestiva sicuramente il ruolo di persona offesa, atteso che la consumazione del reato avrebbe determinato immediatamente la diminuzione del suo patrimonio; avendo la (OMISSIS) presentato querela, sussisteva la necessaria condizione di procedibilità.
Sotto altro profilo, ha ritenuto rilevante al fine della procedibilità anche la querela presentata dalla caporeparto (OMISSIS), in quanto titolare di una relazione di fatto con la cosa, che ne comportava un autonomo potere di custodia e gestione.
Si tratta di un’affermazione in linea con la giurisprudenza di questa Corte in materia di furto, secondo la quale, ai fini della procedibilità dei furti commessi all’interno degli esercizi commerciali, ciò che rileva e che il querelante <sia titolare di una posizione di detenzione qualificata del bene, che ne comporti l’autonomo potere di custodia, gestione ed alienazione> (Sez. 5, n. 11968 del 30/01/2018, Piricò, Rv. 272696).
Giurisprudenza che si pone in termini di continuità con i principi affermati in materia dalle Sezioni Unite, che hanno evidenziato che, con l’incriminazione del reato di furto, si tutela il possesso di cose mobili e che il possesso, a tali fini, non va inteso negli stretti termini di cui all’art. 1140 cod. civ., ma in senso più ampio, comprensivo della detenzione a qualsiasi titolo, quale mera relazione di fatto qualunque sia la sua origine.
Il bene giuridico protetto dal reato di furto, pertanto, è costituito non solo dal diritto di proprietà e dai diritti reali e personali di godimento, ma anche del possesso, come sopra delineato, inteso nel senso di detenzione qualificata con la cosa, con il conseguente potere di utilizzarla e di disporne, discendendone ulteriormente che persona offesa del reato è il detentore qualificato. Non è necessario, quindi, che il detentore abbia anche poteri di rappresentanza del proprietario della cosa, quasi che il diritto di querela debba in ogni caso spettare solo al proprietario o al soggetto che di questo abbia poteri di rappresentanza.
In questa prospettiva, le Sezioni Unite hanno espressamente affermato che <il bene giuridico protetto dal delitto di furto è individuabile non solo nella proprietà o nei diritti reali personali o di godimento, ma anche nel possesso – inteso come relazione di fatto che non richiede la diretta fisica disponibilità – che si configura anche in assenza di un titolo giuridico e persino quando esso si costituisce in modo clandestino o illecito, con la conseguenza che anche al titolare di tale posizione di fatto spetta la qualifica di persona offesa e, di conseguenza, la legittimazione a proporre querela> (Sez. U, Sentenza n. 40354 del 18/07/2013; Sciuscio, Rv. 255975).
Si tratta di argomentazioni che possono essere coerentemente estese anche a un altro reato contro il patrimonio, quale quello di truffa. E, infatti, questa Corte ha già affermato che: <il diritto di querela per il delitto di truffa spetta, indipendentemente dalla formale attribuzione del potere di rappresentanza, anche all’addetto di un esercizio commerciale che si sia personalmente occupato, trovandosi al bancone di vendita, della transazione commerciale con cui si è consumato il reato, assumendo egli, in quel frangente, la responsabilità in prima persona dell’attività del negozio e rivestendo pertanto la titolarità di fatto dell’interesse protetto dalla norma incriminatrice> (Sez. 2, n. 50725 del 04/10/2016, Filannino Rv. 268382; Sez. 2, n. 37012 del 30/06/2016, Miari, Rv.267914).
2. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione, consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende, che deve determinarsi in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.