DEVE ESSERE RIMOSSA DALLA TERRAZZA DI PROPRIETÀ ESCLUSIVA LA VERANDA CHE ALTERA L’ASPETTO ARMONICO DEL FABBRICATO.

La Cassazione, richiamando consolidata giurisprudenza di legittimità, ha effettuato una puntuale ricognizione dei principi che governano la materia della valenza che deve riconoscersi alle disposizioni regolamentari aventi natura pattizia, in relazione alla salvaguardia del bene immateriale comune costituito dal decoro architettonico.


CORTE DI CASSAZIONE
SEZ. II CIVILE
ORDINANZA n. 28908 DEL 18/10/2023


FATTI DI CAUSA
1
– Con ricorso per azione di manutenzione nel possesso del 19.2.2005 le parti (Omissis), premettendo di essere proprietari e possessori di due appartamenti contigui, posti al 2° piano della palazzina ”A“ del complesso residenziale (Omissis – Omissis), sito in (Omissis) alla medesima via – a seguito della realizzazione da parte dei coniugi (Omissis – Omissis) di una veranda di circa 30 mq realizzata in profili metallici a sezione quadrata imbullonati al solaio sottostante e tra loro con l’ausilio di piastre ( per come accertato dal CTU arch. Omissis) sulla terrazza di proprietà di questi ultimi, ubicata nella palazzina “C” – lamentavano di essere stati privati di una veduta fronte mare e di avere subito un grave pregiudizio al decoro ed all’aspetto architettonico dell’intero complesso condominiale, composto dalle palazzine A B e C, con articolazioni degli spazi condominiali, tra terrazzature, zone a verde e ampia discesa a mare, per come realizzato dal costruttore.
Lamentavano anche la violazione del regolamento condominiale predisposto dalla ditta costruttrice/venditrice che, all’art.10, vietava di operare varianti agli immobili che potessero alterarne l’estetica o la simmetria degli edifici condominiali, o che ne potessero compromettere la struttura o la stabilità. Conseguentemente, per la violazione delle norme di cui all’art. 1120 e 1127 c.c., chiedevano la demolizione della veranda e la riduzione in pristino dei luoghi.


2 – Si costituivano in giudizio i coniugi (Omissis – Omissis), acquirenti dalla società “Omissis” dell’appartamento sito al 1° piano con annessa terrazza soprastante di esclusiva pertinenza posto nella Pal. C, del complesso residenziale “Omissis”, eccependone l’inammissibilità e in ogni caso l’infondatezza della domanda.


3 – In via cautelare veniva accolta la domanda e ordinata la cessazione della turbativa del possesso tramite la demolizione integrale del manufatto.

3.1 – Nel merito, il Giudice di Prime Cure accoglieva il ricorso per azione di manutenzione nel possesso, accertando la lesione del decoro architettonico del complesso residenziale e la violazione delle predette prescrizioni regolamentari.


4 – I coniugi (Omissis – Omissis) proponevano appello avverso la suddetta sentenza.


5 – Si costituiva nel giudizio di appello (Omissis), contrastando e contestando il gravame, chiedendo la conferma della sentenza impugnata.
Alla prima udienza l’avv. (Omissis), procuratore, nel giudizio di primo grado, di (Omissis), ne dichiarava il decesso e il giudizio, interrotto, veniva regolarmente riassunto.


6 – La Corte d’Appello di Messina rigettava l’appello richiamando in primo luogo la giurisprudenza della Suprema Corte secondo cui “ai fini della tutela del decoro architettonico dell’edificio condominiale, non occorre che il fabbricato abbia un particolare pregio artistico, né rileva che tale fisionomia sia stata già gravemente ed evidentemente compromessa da precedenti interventi sull’immobile. (Cass. Civ., sez.VI, 12.9.2018, n.22156).
L’opera modificativa realizzata dagli appellanti, ossia una veranda di circa 30 mq in profili metallici a sezione quadrata imbullonati al solaio sottostante e tra loro con l’ausilio di piastre, proprio per la diversità dei materiali utilizzati e per la tipologia dell’intervento, pur in presenza di altri interventi modificativi presenti nelle palazzine, aveva incidenza negativa sul decoro della stabile condominiale, alterandone le linee architettoniche e riflettendosi negativamente sull’aspetto armonico dello stesso. Nel caso in specie si rinveniva, altresì, violazione dell’art.10 del regolamento condominiale del complesso edilizio “Omissis”, che vietava ai condomini di “fare varianti agli immobili che possano alterare l’estetica o la simmetria degli edifici e che ne possano compromettere la struttura o la stabilità”. Per cui, accertata la violazione del divieto posto dal regolamento condominiale, già per tale fatto, doveva senz’altro ritenersi illegittima l’apposizione del manufatto. Tanto più che lo stesso capitolato d’appalto predisposto dalla impresa venditrice, sottoscritto da tutti gli acquirenti, al punto 4 qualificava espressamente come “non praticabili” le terrazze di copertura delle palazzine condominiali (come da documentazione in atti nel fascicolo di parte appellata).
Gli appellanti, sul punto, ritenevano che il regolamento fosse superato dalla successiva approvazione delle nuove tabelle millesimali da parte del condominio “Omissis”, che avrebbero tenuto conto anche del manufatto illecitamente realizzato, così dando ad intendere di volere sanare l’illecito commesso. Senonché l’approvazione di nuove tabelle millesimali era cosa ben diversa dalla modifica del regolamento condominiale, che richiedeva il consenso di tutti i condomini, appositamente e a tale scopo raccolto in una delibera assembleare. Irrilevante era altresì l’autorizzazione rilasciata dal Comune di (Omissis), in quanto i titoli edilizi erano stati rilasciati dalla P.A. con la clausola “fatti salvi i diritti dei terzi”. I terzi danneggiati potevano sempre utilizzare gli strumenti di tutela previsti dall’ordinamento.


7 – I coniugi (Omissis – Omissis) hanno proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di tre motivi di ricorso.


8 – (Omissis) ha resistito con controricorso.


9 – Entrambe le parti, con memoria depositata in prossimità dell’udienza, hanno insistito nelle rispettive richieste.


RAGIONI DELLA DECISIONE


1
– Il primo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione e falsa applicazione degli artt. 1120, 1122 e 1127 c.c., nonché degli artt.115 e 116 c.p.c., per non aver valutato fatti pacifici e prove e per omesso esame di un fatto decisivo e provato con la produzione agli atti di causa.
La norma dell’art. 1120 cod. civ., nel richiedere che le innovazioni della cosa comune siano approvate dai condomini con determinate maggioranze, mira essenzialmente a disciplinare l’approvazione di innovazioni che comportino per tutti i condomini delle spese, ripartite su base millesimale. Ove non si faccia questione di spese, torna applicabile la norma generale dell’art. 1102 cod. civ. – che contempla anche le innovazioni – secondo cui ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto, e, a tal fine, può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa comune.
Nel caso di specie, pertanto, nessuna autorizzazione avrebbero dovuto avere i ricorrenti per eseguire i lavori oggetto di contestazione.
La Corte di Messina, pertanto avrebbe erroneamente ritenuto che “l’opera modificativa realizzata dagli appellanti incideva negativamente sul decoro della stabile condominiale, alterandone le linee architettoniche e riflettendosi negativamente sull’aspetto armonico dello stesso nonostante altri interventi modificativi presenti nelle palazzine.
Secondo i ricorrenti non dovrebbe parlarsi di aggravamento e perdita dell’armonia di linee quale disarmonia al complesso preesistente, sì da pregiudicarne l’originaria fisionomia ed alterarne le linee impresse dal progettista dal momento che gli interventi effettuati da altri condomini nel tempo avevano già modificato l’armonia delle linee originarie e, dunque, alterato l’aspetto architettonico del complesso (Omissis).


2 – Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione e falsa applicazione dell’art 10 del regolamento condominiale in relazione agli articoli 1321, 1122 c.c.
La Corte di Messina non avrebbe valutato fatti pacifici e prove e avrebbe omesso l’esame di un fatto decisivo e provato con la produzione del regolamento condominiale ove all’articolo 10 si afferma che è vietato “fare varianti agli immobili che possano alterare l’estetica o la simmetria degli edifici e che ne possano compromettere la struttura o la stabilità”. Infatti, se l’articolo del regolamento era finalizzato a mantenere l’assetto architettonico originario le intervenute modifiche alle originarie linee andavano considerate, essendo le stesse comunque in violazione delle originarie linee armoniche dello stabile condominiale.


3 – Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art 360, comma 1, n.5 (abbandono e/o modifica di fatto del regolamento condominiale originario).
Il regolamento di condominio può integrare, limitando ulteriormente, la possibilità di innovazioni ex art. 1122 c.c., tuttavia è necessario che il regolamento in questione oltre che approvato ed opponibile a tutti i condomini sia ancora attuale.
Nella fattispecie sarebbe stato dimostrato che il Condominio aveva di fatto accantonato le previsioni del regolamento condominiale, disattendendolo tanto che nel corso degli anni erano state consentite molte modifiche delle originarie linee armoniche che l’articolo 10 del regolamento tendeva a preservare.


4 – I tre motivi di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono inammissibili.


4.1 – Il primo e il secondo motivo sono inammissibili perché si risolvono in censure di merito relativamente all’accertamento del fatto e alla valutazione delle prove. In particolare, la Corte d’appello ha ritenuto che il nuovo manufatto costruito dai ricorrenti, per le sue caratteristiche e per i materiali utilizzati, fosse lesivo del decoro e dell’estetica del fabbricato condominiale.
Tale accertamento in fatto è sottratto al sindacato di questa Corte sicché le doglianze del ricorrente, anche laddove lamentano il vizio di violazione di legge, sono inammissibili.
La sentenza, d’altra parte, è conforme ai seguenti consolidati principi di diritto espressi da questa Corte:
«Ai fini della tutela prevista dall’art. 1120, secondo comma, cod. civ. in materia di divieto di innovazioni sulle parti comuni dell’edificio condominiale, non occorre che il fabbricato, il cui decoro architettonico sia stato alterato dall’innovazione abbia un particolare pregio artistico, né rileva che tale decoro sia stato già gravemente ed evidentemente compromesso da precedenti interventi sull’immobile, ma è sufficiente che vengano alterate, in modo visibile e significativo, la particolare struttura e la complessiva armonia che conferiscono al fabbricato una propria specifica identità» (Sez. 2, Sentenza n. 14455 del 19/06/2009, Rv. 608503 – 01; Sez. 2, Ordinanza n. 16518 del 12/06/2023, Rv.668047 – 01);
«In tema di condominio, è illegittimo l’uso particolare o più intenso del bene comune, ai sensi dell’art. 1102 cod. civ., ove si arrechi pregiudizio al decoro architettonico dell’edificio condominiale» (Sez. 2, Sentenza n. 14607 del 22/08/2012);
«Le norme di un regolamento di condominio – aventi natura contrattuale, in quanto predisposte dall’unico originario proprietario dell’edificio ed accettate con i singoli atti di acquisto dai condomini, ovvero adottate in sede assembleare con il consenso unanime di tutti i condomini – possono derogare od integrare la disciplina legale, consentendo l’autonomia privata di stipulare convenzioni che pongano nell’interesse comune limitazioni ai diritti dei condomini, sia relativamente alle parti condominiali, sia riguardo al contenuto del diritto dominicale sulle porzioni di loro esclusiva proprietà. Ne consegue che il regolamento di condominio può legittimamente dare del limite del decoro architettonico una definizione più rigorosa di quella accolta dall’art. 1120 cod. civ., estendendo il divieto di innovazioni sino ad imporre la conservazione degli elementi attinenti alla simmetria, all’estetica, all’aspetto generale dell’edificio, quali esistenti nel momento della sua costruzione od in quello della manifestazione negoziale successiva» (Sez. 2, Sentenza n. 1748 del 24/01/2013);
«Costituisce innovazione lesiva del decoro architettonico del fabbricato condominiale, come tale vietata, non solo quella che ne alteri le linee architettoniche, ma anche quella che comunque si rifletta negativamente sull’aspetto armonico di esso, a prescindere dal pregio estetico che possa avere l’edificio. La relativa valutazione spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, ove non presenti vizi di motivazione» (Sez. 2, Sentenza n. 10350 del 11/05/2011).


4.2 – Del pari inammissibile la censura di omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione ex art. 348 ter c.p.c. ricorrendo ipotesi di “doppia conforme”. Peraltro, il “fatto” in questione non è stato omesso, avendo espressamente affermato la corte d’Appello che la modifica delle tabelle millesimali non potesse essere interpretata, come sostenuto dai ricorrenti, quale modifica di fatto del regolamento condominiale, per emendare il quale è necessaria invece una delibera formale in cui sia raccolto il consenso dei condomini con le maggioranze richieste in relazione alla tipologia di regolamento.


5 – Il ricorso è inammissibile.


6 – Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.


7 – Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.


P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti della parte controricorrente che liquida in euro 4000, più 200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario al 15% IVA e CPA come per legge; ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione civile in data 13 ottobre 2023.

2023-10-23T17:09:55+02:00 10 Novembre 2023|