FATTURAZIONE E OPERAZIONI INESISTENTI

In caso di operazioni insistenti l’avvenuta fatturazione ha rilevanza anche se non vengono acquisite in giudizio le dichiarazioni dei redditi presentate.


CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
23 NOVEMBRE 2023 N. 47032


RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 6 dicembre 2022 la Corte d’appello di Brescia ha respinto l’impugnazione proposta da (Omissis) nei confronti della sentenza del 15 dicembre 2021 del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Bergamo con la quale, a seguito di giudizio abbreviato, lo stesso era stato dichiarato responsabile di due contestazioni del delitto di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 74 del 2000, realizzate nel 2016 e nel 2017 quale titolare dell’impresa individuale (Omissis), ed era stato condannato alla pena di un anno e sei mesi di reclusione, oltre che alle pene accessorie di cui all’art. 12 del medesimo d.lgs. n. 74 del 2000; con la medesima sentenza era anche stata disposta la confisca, in via diretta e per equivalente, del profitto di tali reati, pari a complessivi euro 47.090,93.


2. Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, mediante l’Avvocato (Omissis), che lo ha affidato a tre motivi.


2.1. Con il primo motivo ha lamentato la violazione di disposizioni di legge penale e un vizio della motivazione con riferimento alla affermazione della sussistenza del reato ascrittogli, in quanto non erano state acquisite le dichiarazioni fiscali presentate dal ricorrente, con la conseguente mancata dimostrazione dell’utilizzo delle fatture ritenute relative a operazioni inesistenti, non essendovi in atti le dichiarazioni annuali ai fini Ires o Iva della impresa individuale (Omissis) e mancando, di conseguenza, la prova dell’utilizzo di dette fatture, non desumibile dai soli accertamenti compiuti dalla Guardia di Finanza, in quanto la presentazione o la trasmissione della dichiarazione è elemento costitutivo ed essenziale del reato di cui all’art. 2 d.lgs. 74/2000, che si consuma al momento della presentazione della dichiarazione fiscale nella quale siano effettivamente inseriti o esposti elementi contabili fittizi (si richiamano le sentenze n. 52752 del 2014 e n. 25808 del 2016).
Ha, inoltre, eccepito, che le fatture n. 3 del 3/4/2015 e n. 9 del 1/10/2015, entrambe emesse dalla Confezione (Omissis) di (Omissis), non erano state annotate nel registro delle fatture dell’impresa del ricorrente e quindi non erano state indicate come elementi passivi fittizi nelle dichiarazioni relative alle imposte sui redditi e sul valore aggiunto, ma ciò non era stato verificato dalla Corte d’appello, che non aveva esaminato dette dichiarazioni, che non erano state acquisite.
Ha contestato anche l’affermazione della fittizietà delle operazioni sottostanti le fatture annotate nella contabilità dell’impresa del ricorrente, ritenuta provata sulla base delle sole presunzioni formulate dalla Guardia di Finanza, circa l’assenza di documentazione contabile relativa alla emittente, risultata evasore totale e inattiva, che aveva omesso di presentare le dichiarazioni annuali ai fini Ires e Iva e il cui legale rappresentante era risultato irreperibile, ma omettendo di considerare sia i numerosi prelievi di denaro eseguiti dal ricorrente, sufficienti a far fronte al pagamento delle fatture oggetto della contestazione, sia la mancanza di accertamenti presso la sede dell’impresa del ricorrente volti a verificare la consapevolezza dell’inesistenza della Confezione (Omissis) di (Omissis).


2.2. Con un secondo motivo ha lamentato l’errata applicazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 74 del 2000 e un ulteriore vizio della motivazione, in relazione alla affermazione della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato ascrittogli, non essendo stati indicati gli elementi dimostrativi della finalità di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto che deve necessariamente accompagnare la condotta tipica affinché possa ritenersi configurabile il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.


2.3. Con il terzo motivo ha denunciato la violazione e l’errata applicazione degli artt. 62 bis e 133 cod. pen. e un ulteriore vizio della motivazione, nella parte relativa alla determinazione della misura della pena detentiva e delle pene accessorie e al diniego delle circostanze attenuanti generiche, in quanto la misura della pena detentiva, pari a un anno e sei mesi di reclusione, era stata ritenuta adeguata dalla Corte d’appello esclusivamente in considerazione dell’ammontare delle imposte evase, pari a complessivi euro 47.090,93, mentre nulla era stato esposto per giustificare la conferma del mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.


3. Il Procuratore Generale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso, sottolineando il carattere non consentito delle doglianze fondate su una rivalutazione degli elementi di prova e la novità di quelle relative alla mancata acquisizione delle dichiarazioni fiscali del ricorrente, non dedotte con l’atto d’appello, e l’adeguatezza della motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio.

CONSIDERATO IN DIRITTO


1. Il ricorso è, nel suo complesso, infondato.


2. Il primo motivo, mediante il quale è stata denunciata l’insussistenza degli elementi costitutivi del reato ascritto al ricorrente, sia a causa della mancata acquisizione delle dichiarazioni fiscali relative agli anni 2016 e 2017, in assenza delle quali non potrebbe ritenersi consumato il reato, sia per l’insufficienza dell’accertamento della inesistenza delle operazioni economiche sottostanti le fatture indicate nelle imputazioni, è inammissibile.


2.1. La doglianza in ordine alla mancata acquisizione delle dichiarazioni fiscali nelle quali sono state utilizzate le fatture giudicate relative a operazioni inesistenti, con la conseguente erroneità della affermazione della configurabilità del reato contestato al ricorrente, è inammissibile, attenendo a un vizio della motivazione in ordine a un punto non devoluto con l’atto di gravame alla Corte d’appello.
Premesso che non sono deducibili con il ricorso per cassazione questioni che non abbiano costituito oggetto dei motivi di gravame, dovendo evitarsi il rischio che in sede di legittimità sia annullato il provvedimento impugnato con riferimento a un punto della decisione rispetto al quale si configura “a priori” un inevitabile difetto di motivazione per essere stato intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello (così, tra le tante, da ultimo, Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, Galdi, Rv. 270316; v. anche Sez. 2, n. 13826 del 17/02/2017, Bolognese, Rv. 269745; Sez. 5, n. 28514 del 23/04/2013, Grazioli, Rv. 255577), va osservato che, secondo quanto risulta dalla non contestata narrativa della sentenza impugnata (che costituiva onere del ricorrente, in caso di incompletezza, contestare, cfr. Sez. 2, n. 9028 del 05/11/2013, dep. 2014, Carrieri, Rv. 259066, e Sez. 2, n. 31650 del 03/04/2017, Ciccarelli, Rv. 270627), con l’atto d’appello non erano stati sollevati rilievi di sorta a proposito della mancata acquisizione delle dichiarazioni fiscali presentate nell’interesse dell’impresa individuale del ricorrente e nelle quali sono state indicate e quindi utilizzate le fatture per operazioni inesistenti indicate nelle imputazioni : ne consegue l’inammissibilità della deduzione di un vizio di motivazione su tale aspetto, in quanto non sottoposto alla cognizione del giudice d’appello, e, anzi, non contestato dal ricorrente, e, quindi, inevitabilmente, non esaminato dal giudice del gravame.
Quanto alla violazione di legge penale denunciata sul medesimo punto, che deriverebbe dalla affermazione della realizzazione dei reati contestati in assenza della presentazione delle dichiarazioni fiscali relative agli anni 2016 e 2017, va osservato che la Corte d’appello non ha affatto considerato il reato contestato al ricorrente come perfezionato con la sola annotazione delle fatture relative a operazioni inesistenti nelle scritture contabili dell’impresa individuale del ricorrente medesimo, in tal modo impropriamente anticipandone il momento consumativo, che coincide con la presentazione o la trasmissione in via telematica della dichiarazione nella quale sono indicati gli elementi passivi fittizi, e non, invece, in quello, antecedente, dell’annotazione in contabilità della fattura falsa (v. Sez. 3, n. 37848 del 29/03/2017, Ferrario, Rv. 271044; v. anche Sez. U, n. 2333 del 03/02/1995, Aversa, Rv. 200260), ma, in assenza di qualsiasi contestazione dell’imputato sul punto, che si era limitato a sottolineare la mancanza di prova della fittizietà delle operazioni rappresentate nelle fatture (oltre che a prospettare la mancanza dell’elemento soggettivo, a chiedere la revoca della confisca e la riduzione della pena), non si è soffermata su tale aspetto, in quanto non contestato dall’imputato, esaminando, del tutto correttamente, i soli rilievi da questi sollevati con l’atto d’impugnazione.
Ne consegue la evidente infondatezza delle censure di violazione di legge penale, per l’errata interpretazione dell’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, che è chiaramente insussistente, non essendo stato affrontato tale aspetto e non avendo la Corte d’appello affatto affermato che il delitto previsto da detta disposizione si consuma con la sola annotazione delle fatture relative a operazioni inesistenti nelle scritture contabili obbligatorie del dichiarante, essendosi limitata ad affrontare l’aspetto della inesistenza delle operazioni sottostanti le fatture rinvenute nella contabilità dell’impresa del ricorrente, oggetto del primo motivo d’appello, non essendo state sollevate contestazioni sulla indicazione dei costi dalle stesse derivanti nelle dichiarazioni fiscali del ricorrente, né, tantomeno, in ordine al contenuto di tali dichiarazioni o alla loro mancata acquisizione.


2.2. Le censure relative all’accertamento della fittizietà delle operazioni sottostanti le fatture utilizzate dal ricorrente attengono alla ricostruzione dei fatti contestati e rilevanti ai fini della decisione, non sindacabili sul piano delle valutazioni di merito e della considerazione degli elementi di prova nel giudizio di legittimità, e sono, comunque, manifestamente infondate.
La Corte d’appello ha ribadito il giudizio di fittizietà delle operazioni economiche sottostanti le fatture utilizzate dal ricorrente sulla base di una serie di elementi indiziari, ritenuti univocamente dimostrativi di tale circostanza, che sono stati considerati in modo logico e applicando correttamente regole razionali e massime di comune esperienza, elementi costituiti dal fatto che l’impresa emittente, Confezioni (Omissis) di (Omissis), aveva cessato l’attività sin dal 2012 e il suo amministratore risultava irreperibile; che l’oggetto delle fatture era indicato in modo generico e che non vi erano documenti di trasporto delle relative merci né tracce dei pagamenti del loro corrispettivo, non desumibili neppure dai prelievi di denaro contante eseguiti dal ricorrente, non corrispondenti, per epoca e ammontare, agli importi portati da dette fatture; che l’imputato aveva dichiarato di non aver mai conosciuto l’impresa emittente le fatture e di non aver intrattenuto rapporti commerciali con la stessa.
Sulla base di questo complesso di elementi i giudici di merito hanno ritenuto, concordemente e in modo logico, relative a operazioni inesistenti le fatture annotate nella contabilità dell’impresa del ricorrente e poi da questi utilizzate a fine di evasione, e tali valutazioni sono state censurate dal ricorrente in modo generico, in quanto privo di autentico confronto critico con il complesso della portata giustificativa della motivazione della sentenza impugnata, e, soprattutto, sul piano della valutazione degli elementi di prova considerati, di cui è stata censurata la lettura proponendone una alternativa, dunque in modo non consentito in questa sede di legittimità, nella quale, per giurisprudenza consolidata, è esclusa la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali, o una diversa ricostruzione storica dei fatti, o un diverso giudizio di rilevanza, o comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rovinelli, Rv. 276970; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Cammarota, Rv. 262575; Sez. 3, n. 12226 del 22/01/2015, G.F.S., non massimata; Sez. 3, n. 40350, del 05/06/2014, C.C. in proc. M.M., non massimata; Sez. 3, n. 13976 del 12/02/2014, P.G., non massimata; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099; Sez. 2, n. 7380 del 11/01/2007, Messina ed altro, Rv. 235716).


3. Il secondo motivo, relativo all’elemento soggettivo dei reati ascritti al ricorrente, di cui sarebbe stata confermata la sussistenza in modo assertivo e in assenza di adeguata considerazione dei motivi di gravame, è inammissibile a causa della sua genericità, consistendo nella generica asserzione della insufficienza della motivazione su tale punto, disgiunta dalla considerazione della vicenda e della condotta contestata e di quanto esposto sul punto nelle concordi e conformi sentenze di merito, nelle quali è stato sottolineato come la condotta contestata al ricorrente, accertata sulla base di inequivoci elementi indiziari dimostrativi della sua realizzazione, fosse chiaramente volta a evadere le imposte, attraverso l’indicazione nelle dichiarazioni fiscali di costi fittizi, idonei a ridurre le imposte dovute.
Tale considerazione, logica e idonea a giustificare l’affermazione della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato ascritto al ricorrente, è stata censurata in modo generico e assertivo, essendosi il ricorrente limitato a lamentare il mancato accertamento del cosiddetto dolo di evasione, che, invece, è stato accertato sulla base di considerazioni logiche e fondate su consolidate massime di esperienza, ossia sulla mancanza di spiegazioni alternative all’utilizzo di fatture afferenti a operazioni inesistenti, che hanno avuto l’effetto, riducendo l’imponibile, di consentire l’evasione chiaramente perseguita dal ricorrente.


4. Il terzo motivo, relativo al trattamento sanzionatorio, è, complessivamente, infondato.


4.1. Le doglianze in ordine alla misura della pena detentiva e alla durata di quelle accessorie sono inammissibili, sia a causa della loro genericità, consistendo nella mera affermazione della eccessività della pena detentiva e della mancanza di giustificazione di quelle accessorie, disgiunta da quanto esposto sul punto nella sentenza impugnata, nella quale la misura della pena detentiva, lievemente superiore al minimo edittale e quindi non richiedente analitica giustificazione (v. Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, Del Papa, Rv. 276288), è stata sufficientemente giustificata attraverso la sottolineatura della reiterazione della condotta per due anni d’imposta e della non modesta entità delle imposte evase, in tal modo sottolineando gli aspetti di gravità della condotta ritenuti assorbenti tra quelli di cui all’art. 133 cod. pen.
La durata delle pene accessorie di cui alle lett. b) e c) dell’art. 12 d.lgs. è stata determinata nel minimo edittale di un anno, mentre la durata di quella di cui alla lett. a), determinata anch’essa in un anno, superiore al minimo di sei mesi ma inferiore alla media (essendo previsto un massimo di durata di tre anni), è stata sufficientemente giustificata con la spregiudicatezza manifestata dall’imputato nella realizzazione delle condotte: si tratta di motivazione sufficiente, essendo state indicate le ragioni che hanno determinato lo scostamento dal minimo edittale, e che il ricorrente non ha considerato, essendosi limitato a dolersi dell’eccessività di tale pena.


4.2. La doglianza in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche non è fondata.
Il ricorrente si duole del diniego delle circostanze attenuanti generiche e della mancanza di motivazione sul punto, benché la Corte territoriale, nel disattendere tutte le doglianze formulate in ordine al trattamento sanzionatorio, dunque anche quelle relative al diniego delle circostanze attenuanti generiche, a proposito delle quali il ricorrente aveva evidenziando nell’atto d’appello il proprio comportamento collaborativo con la Guardia di Finanza, sottolineandone la valenza positiva, abbia rimarcato la reiterazione delle condotte criminose in più anni di imposta, sottolineando la scaltrezza del ricorrente e l’entità delle somme soggette alla tassazione, in tal modo giustificando adeguatamente, anche se in modo implicito, il diniego delle circostanze attenuanti generiche, conseguente alla conferma del trattamento sanzionatorio stabilito dal primo giudice, ritenuto adeguato.
Si tratta di motivazione idonea e sufficiente, essendo consentita la considerazione dei medesimi elementi, quando questi abbiano efficacia polivalente, siano cioè incidenti sia nella valutazione di gravità della condotta e sul giudizio sulla personalità dell’imputato, sia da considerare nella valutazione più generale da compiere ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, senza che ciò determini violazione del principio del ne bis in idem (v.Sez. 6, n. 45623 del 23/10/2013, Testa, Rv. 257425; Sez. 2, n. 24995 del 14/05/2015, Rechichi, Rv. 264378, Sez. 3, n. 17054 del 13/12/2018, dep. 2019, M., Rv. 275904).
Ne consegue l’infondatezza dei rilievi sollevati dal ricorrente a proposito del diniego di dette circostanze, essendo presente nella motivazione della sentenza impugnata una giustificazione sufficiente della conferma del trattamento sanzionatorio, comprensivo del diniego delle circostanze attenuanti generiche.


5. Il ricorso deve, quindi, essere rigettato, a cagione della inammissibilità del primo e del secondo motivo e della infondatezza del terzo motivo.
Consegue l’onere delle spese del procedimento


P.Q.M


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

2023-11-29T17:01:45+01:00 1 Dicembre 2023|