Non è responsabile del reato di omicidio colposo il medico che ha rispettato le linee guida lo ha stabilito la Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 5595/2023 ha stabilito che non risponde di omicidio colposo il medico che nell’intubare il paziente abbia adottato le linee guida e valutato il rischio anestesiologico, confermando la pronuncia con cui la Corte di Appello di Messina aveva assolto una anestesista e un chirurgo che erano stati tratti a giudizio perché ritenuti responsabili della morte di una signora che si era sottoposta ad un intervento di quadrantectomia.

Corte di Cassazione
Quarta Sezione Penale 09.02.23 n° 5595


RITENUTO IN FATTO


1. Con sentenza del 25 settembre 2019 la Corte di appello di Messina ha confermato la decisione del locale Tribunale del 26 maggio 2017 con cui (OMISSIS) e (OMISSIS) erano stati assolti dal reato di cui agli articoli 110 e 589 c.p., loro in concorso ascritto.


1.1. I due imputati erano stati tratti a giudizio in quanto ritenuti responsabili di avere, nella rispettiva qualità di medico anestesista (OMISSIS) e di medico chirurgo (OMISSIS) dell’UOC di Chirurgia generale presso il Policlinico di (OMISSIS), concorso a causare la morte di (OMISSIS) sottoposta ad intervento chirurgico di asportazione di lesione mammaria determinata da una insufficienza multipla di organi in paziente in coma post-anossico.
Alla (OMISSIS), in particolare, era stato contestato di avere agito con imprudenza, negligenza ed imperizia, perché, dopo avere fallito tre tentativi di intubazione e proceduto ad una ventilazione forzata, constatata la presenza di un edema alla glottide, aveva dapprima omesso di praticare alla paziente una puntura cricotiroidea e poi aveva ritardato colposamente un intervento di tracheotomia, non segnalandone tempestivamente la necessità di effettuazione.
Il (OMISSIS), medico chirurgo di sala operatoria, era stato, invece, sottoposto a giudizio perché: sebbene non rientrasse tra i suoi compiti, apprese le gravi condizioni della (OMISSIS), non aveva provveduto ad eseguire un immediato intervento di tracheotomia, pratica chirurgica effettuata da un altro sanitario nel frattempo intervenuto; nella qualità di medico chirurgo che aveva in cura la paziente, aveva sottoposto quest’ultima ad un intervento chirurgico di quadrantectomia, non proporzionato alle condizioni cliniche della paziente al momento della sua esecuzione, posto che costei, sulla base delle risultanze di esami eseguiti, non presentava un quadro tale da far deporre per la presenza di una lesione potenzialmente maligna.


2. La Corte di appello, ricostruito lo svolgimento dei fatti nella maniera accertata dalla svolta istruzione dibattimentale, ha ritenuto l’infondatezza delle doglianze eccepite dalle appellanti parti civili, non ravvisando nella condotta riferibile agli imputati la contestata violazione di regole cautelari.
Così, con riferimento alla posizione del medico anestesista (OMISSIS), é stato accertato che l’imputata aveva preventivamente attribuito alla paziente rischio anestesiologico pari a 3 nella classificazione ASA, e valore 2 per il test di Mallampati – idoneo ad indicare la difficoltà di intubazione – per cui la successiva grave complicanza incontrata in fase di intubazione della (OMISSIS), determinata da un edema alla glottide conseguente ad uno stato reattivo allergico dei tessuti laringo-tracheali, aveva rappresentato un evento del tutto imprevedibile e non prevenibile, come confermato da tutti i consulenti escussi. Né, per la Corte territoriale, vi era stata nessuna manovra errata da parte della (OMISSIS), che aveva operato i tentativi di intubazione della paziente nel numero massimo consentito e nel rispetto dei canoni indicati dalle linee guida, così come non era dato ravvisare nessuna responsabilità per ritardi a lei imputabili nell’effettuazione dei dovuti interventi, avendo costei tempestivamente adottato scelte consone alla specificità della situazione, senza, peraltro, che sia stato provato che l’imputata avesse abbandonato la (OMISSIS) e sospeso la somministrazione di ossigeno per chiamare un medico chirurgo per praticarle la tracheotomia.
Con riguardo, poi, alla posizione del (OMISSIS), medico chirurgo presente in sala operatoria in attesa di praticare l’intervento di quadrantectomia, la Corte di merito ha accertato come nessuna responsabilità fosse a lui imputabile, non essendo stato reso partecipe della grave situazione in atto e della necessità di effettuare l’intervento di tracheotomia sulla paziente – essendosi la (OMISSIS) rivolta, a tal fine, ad un altro medico chirurgo ( (OMISSIS)) dotato di maggiore esperienza specifica -. Non è stata ravvisata, inoltre, nessuna violazione di regole cautelari nella scelta operata dal (OMISSIS), concordata con la (OMISSIS) e condivisa dal suo medico di fiducia, di programmare un intervento di quadrantectomia su una paziente già sottoposta l’anno precedente ad un’operazione di asportazione di neoformazione alla mammella sinistra risultata essere di natura maligna.


3. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione, ai sensi dell’articolo 576 c.p.p., il difensore delle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), eccependo, con un unico motivo, manifesta illogicita’ della motivazione, nella parte in cui la Corte di appello ha ritenuto l’insussistenza di profili colposi nella condotta contestata ai due imputati in virtu’ di una non corretta applicazione dei criteri di valutazione della prova di cui all’articolo 192 c.p.p..
A differenza di quanto ritenuto dai giudici di merito, infatti, sia l’approccio che la condotta tenuta dalla (OMISSIS) durante la fase di intubazione della paziente sarebbero stati caratterizzati da un’evidente violazione delle regole cautelari e delle linee guida.
Soprattutto illogica sarebbe la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che l’imputata non avesse mai abbandonato la sala operatoria, ne’ interrotto la somministrazione di ossigeno alla (OMISSIS), pur a fronte di inequivoche emergenze probatorie di segno contrario, in particolar modo rappresentate dalle dichiarazioni rese dal teste (OMISSIS), che aveva riferito di come fosse stata la stessa (OMISSIS) a chiamarlo per intervenire a praticare una tracheotomia urgente su una paziente trovantesi in sala operatoria.
Il comportamento imprudente e negligente tenuto dall’imputata, consistito nel non aver dato assistenza, sia pur per un breve periodo, alla paziente avrebbe, pertanto, causalmente determinato la grave ipossia da cui era scaturito poi il decesso della (OMISSIS).
Parimenti illogica sarebbe la motivazione con cui è stata esclusa la responsabilità del (OMISSIS) in ragione della sua imprudente scelta di programmare un intervento chirurgico in carenza di ricorrenza delle necessarie condizioni, atteso che, pur a fronte di un’indicazione radiologica attestante la presenza di una formazione benigna, aveva esposto la (OMISSIS) ai rischi connessi all’effettuazione di un’anestesia generale. Sarebbe stato più corretto, nonché più aderente alle esigenze di cautela, procedere con un intervento in anestesia locale, evenienza neanche rappresentata alla (OMISSIS) in sede di sottoscrizione del consenso informato, in cui le era stata unicamente prospettata l’errata diagnosi della presenza di una neoplasia maligna.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi delle parti civili non sono fondati, per cui gli stessi devono essere rigettati.


2. Sebbene, infatti, le proposte doglianze si propongano, nelle premesse, di attaccare il percorso argomentativo seguito dalla sentenza impugnata in ordine alla mancata configurazione dei profili di colpa contestati agli imputati, esse, tuttavia, si diffondono, in maniera pressoché’ esclusiva, nella rappresentazione di una diversa lettura delle emergenze processuali, così da configurare la responsabilità dei prevenuti.
I ricorrenti finiscono, cioè, per censurare, più che la presenza di effettive illogicità argomentative, la ricostruzione dei fatti e la valutazione delle prove operate nella sentenza impugnata, in tal maniera sviluppando censure di merito non consentite nel giudizio di legittimità.


2.1. Ciò non si conforma, all’evidenza, ai principi reiteratamente affermati dalla giurisprudenza della Suprema Corte, per cui, in tema di sindacato del vizio di motivazione, il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all’affidabilità delle fonti di prova, bensì quello di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi – dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti – e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (così, tra le tante, Sez. U, n. 930 del 13/12/1995, dep. 1996, Clarke, Rv, 203428-01).
Esula, quindi, dai poteri della Corte la rilettura della ricostruzione storica dei fatti posti a fondamento della decisione di merito, dovendo l’illogicità del discorso giustificativo, quale vizio di legittimità denunciabile mediante ricorso per cassazione, essere di macroscopica evidenza (cfr. Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794-01; Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone e altri, Rv. 207944-01).
Sono precluse al giudice di legittimità, pertanto, la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr., fra i molteplici arresti in tal senso: Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 28060101; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482-01; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507-01). E’, conseguentemente, sottratta al sindacato di legittimità la valutazione con cui il giudice di merito esponga, con motivazione logica e congrua, le ragioni del proprio convincimento.


3. Tanto premesso, deve essere osservato, in termini specifici, come le motivazioni della sentenza di appello appaiano congrue e non manifestamente illogiche, e perciò non sindacabili nella presente sede di legittimità, avendo le stesse adeguatamente argomentato in ordine alle ragioni per cui non può essere ravvisata nessuna responsabilità degli imputati per le condotte loro rispettivamente contestate.


3.1. Così, con riguardo alla posizione di (OMISSIS), risulta, in primo luogo, adeguato e logico il percorso argomentativo con cui la Corte territoriale ha esplicato le ragioni per cui non possa essere ravvisato alcuno scostamento della sua condotta da quella doverosa su di lei gravante.
E’ stato congruamente evidenziato, infatti, come l’imputata non avesse in alcun modo violato le regole cautelari durante la fase di intubazione della paziente, essendo stato giudizialmente accertato come, seguendo un modus procedendi conforme alle previste linee guida, la (OMISSIS) avesse attribuito al rischio anestesiologico della (OMISSIS) il punteggio 3 (su 5) della classificazione ASA – verosimilmente per la presenza contemporanea di ipertensione arteriosa e fibrillazione atriale, diatesi allergica – e che il test Mallampati, idoneo a rappresentare il grado di difficoltà dell’intubazione, sebbene prevedesse lo sbarramento in cartella del segno 2 e 3, fosse stato basato su misurazioni che avrebbero giustificato esclusivamente il 2 grado. Conseguentemente, nulla “avrebbe potuto far presagire all’anestesista una intubazione difficile”, ed anzi la sottoposizione della paziente solo un anno prima ad altra anestesia generale, nonché ad una terapia cortisonica nei giorni immediatamente antecedenti all’intervento, non poteva che indurre, come pure confermato da tutti i consulenti escussi, che non vi fosse, ragionevolmente, alcuna possibilità di “prevedere la impossibilità di intubazione dopo l’induzione dell’anestesia, causata da un edema alla glottide dovuta ad uno stato reattivo allergico dei tessuti laringo-tracheali”.
Oltre all’insussistenza di condotte colpose riferibili all’imputata durante la fase di espletamento delle attività sanitarie preanestetiche, è stato, poi, anche precisato, con motivazione parimenti logica e adeguata, come nessuna responsabilità potesse essere ascritta alla (OMISSIS) neanche nelle successive operazioni di tentata intubazione della paziente, svolte nel pieno rispetto delle linee guida SIAARTI, non essendo state eseguite manovre errate e non essendovi stati ritardi nell’intervento, né alcuna soluzione temporale nell’effettuazione delle operazioni di ossigenazione.
Come osservato, invece, i ricorrenti hanno dedotto, in termini contrari, l’illogicità della motivazione con cui è stato ritenuto che l’imputata non avesse mai abbandonato la sala operatoria, ovvero interrotto la somministrazione di ossigeno alla (OMISSIS), nonostante il teste (OMISSIS) avesse riferito di essere stato chiamato dalla (OMISSIS) per intervenire a praticare una tracheotomia urgente in sala operatoria.
Il Collegio tuttavia rileva, in antitesi rispetto all’indicata censura, come la Corte di merito abbia congruamente evidenziato come – a prescindere dal segnalato aspetto – dalla relazione anestesiologica, non contraddetta da alcuna dichiarazione testimoniale, non fosse emerso alcun ritardo nell’effettuazione degli interventi da parte dei vari medici succedutisi (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), tutti resi in maniera celere, con corrette modalità terapeutiche e con continuo espletamento delle operazioni di ossigenazione della paziente, mai lasciata senza ventilazione.
Pertanto, l’affermazione con cui i ricorrenti hanno lamentato che la (OMISSIS) avrebbe causato la fatale grave ipossia della (OMISSIS) in conseguenza del suo comportamento imprudente e negligente, consistito nell’aver abbandonato la paziente e sospeso la somministrazione di ossigeno per andare a chiamare il (OMISSIS), non risulta confortato da alcun adeguato elemento di riscontro, essendo stato, invece, esplicato, in termini contrari e logici, come non sussista alcuna prova in tal senso, in quanto, “sebbene il prof. (OMISSIS) abbia affermato di essere stato chiamato ad intervenire personalmente dalla prof. (OMISSIS), considerato che (OMISSIS) afferma di aver visto aprire la porta uscire un uomo e poi salire un medico individuato successivamente nel Dott. (OMISSIS), si può ritenere che quest’ultimo si sia espresso impropriamente affermando quanto sopra intendendo, verosimilmente, dire che era stata la prof. (OMISSIS) personalmente a mandarlo a chiamare”.
D’altro canto, e’ pure logica l’osservazione per cui, anche ove si dovesse ritenere che l’imputata avesse momentaneamente abbandonato la (OMISSIS), non vi è prova che ciò non fosse avvenuto “allorché’ è sopraggiunto per soccorrere la paziente il Dott. (OMISSIS)”, in tal maniera non interrompendosi le operazioni di ventilazione della (OMISSIS).


3.2. Stessa congruenza argomentativa è, poi, ravvisabile anche con riferimento alla mancata attribuzione a (OMISSIS) di una responsabilità colposa nella verificazione del decesso della (OMISSIS).
In modo opposto, le ricorrenti parti civili hanno causalmente attribuito il letale evento all’imprudente scelta dell’imputato di sottoporre la paziente ad un’operazione chirurgica di asportazione di una formazione benigna previa effettuazione di un’anestesia generale, laddove sarebbe stato cautelativamente più corretto procedere con un intervento in anestesia locale, come neanche prospettato alla (OMISSIS) al momento della sottoscrizione del consenso informato, in cui le era stata prospettata l’errata diagnosi della presenza di una neoplasia maligna.
Orbene, a fronte dell’indicata doglianza, la Corte di appello ha esplicato come dalle emergenze probatorie acquisite fosse, in primo luogo, risultato che la scelta del (OMISSIS) di programmare un intervento di quadrantectomia fosse stata previamente concordata con la (OMISSIS) e con il suo medico curante, sul presupposto che la paziente era già stata sottoposta a precedente operazione chirurgica per una neoformazione alla mammella sinistra rivelatasi, nel corso dell’intervento, di natura maligna. Pertanto, per quanto accertato dai consulenti escussi, la decisione del (OMISSIS) era stata assunta in coerenza con il pregresso quadro clinico della vittima, che “rendeva obiettivamente concreto il rischio di un tumore metacrono, atteso peraltro l’età della paziente che la esponeva notevolmente a recidive. Il ricorso ad una procedura chirurgica più invasiva, nella concreta prospettiva dell’accertamento in corso di intervento della malignita’ della malformazione, appare pertanto giustificato”.
In relazione, poi, alla dedotta erronea prospettazione alla (OMISSIS) della sussistenza di un tumore maligno in sede di sottoscrizione del consenso informato, il Collegio ritiene logica e congrua l’argomentazione giustificativa espressa dalla Corte di merito, per cui è da considerarsi buona prassi quella di prospettare, in caso di preventiva mancanza di conoscenza della natura della neo formazione, la più negativa ipotesi, essendo ciò funzionale a consentire al chirurgo di procedere con immediatezza alla mastectomia, senza sottoporre il paziente a due interventi invasivi, qualora l’esame istologico, svolto in modo estemporaneo nella fase iniziale dell’intervento, dovesse rivelare la presenza di una neoplasia maligna.
Il (OMISSIS), dunque, non era in presenza di due alternative terapeutiche, che lo avrebbero dovuto indurre a scegliere la soluzione meno pericolosa per la salute della paziente (Sez. 4 n. 12968 del 12/11/2020, dep. 2021, Usai, Rv. 281013-01), ma ad un unico logico iter procedurale, correttamente osservato nel pieno rispetto dell’accordo preventivamente raggiunto con la (OMISSIS).


3.3. Alla stregua delle superiori considerazioni, allora, può senz’altro ritenersi, con riguardo alla posizione di entrambi i prevenuti, che la Corte territoriale abbia fornito una chiara rappresentazione degli elementi di fatto considerati nella propria decisione, oltre che della modalità maggiormente plausibile con cui gli stessi è da ritenersi si siano svolti. Le censure sollevate dalle parti civili si appalesano, pertanto, come volte ad ottenere solo una rivalutazione del materiale probatorio raccolto in sede di merito, il che, avuto riguardo alla coerenza ed alla logicità della motivazione resa, appare all’evidenza del tutto infondato.
D’altro canto, gli elementi dedotti dai ricorrenti possono, al più, valere a suggerire una lettura alternativa – e meno logica – delle emergenze probatorie, ma non di certo a ribaltarne l’esito in modo univoco, con ciò che ne consegue in termini di carenza di affermazione di ogni responsabilità ascrivibile agli imputati.
4. Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.


P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.


2023-03-14T18:17:24+01:00 14 Marzo 2023|