Quando l’arma è definita “intatta”?

La Suprema Corte ha stabilito con sentenza n. 30367/2023 che La qualifica di arma resta intatta anche se non funzionante, qualora si presenti «agevolmente riparabile», in modo da poter «ripristinare l’originaria attitudine lesiva». Perché non sia più tale è necessario che sia «divenuta ormai totalmente e irreversibilmente inefficiente», così che «venga definitivamente a mancare la situazione di pericolo per l’ordine pubblico e la pubblica incolumità»

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 28/02/2022 del GIUDICE UDIENZA PRELIMINARE di FOGGIA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. LANNA ANGELO VALERIO;

letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa MIGNOLO OLGA, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, limitatamente al calcolo della pena, con declaratoria di inammissibilità quanto al resto.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza indicata in epigrafe, pronunciata secondo le forme del rito abbreviato, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Foggia ha ritenuto (OMISSIS) colpevole dei reati ascritti e – previa riqualificazione, ai sensi dell’articolo 697 c.p., dell’originaria imputazione L. 18 aprile 1975, n. 110, ex articolo 23, comma 3, (così era stata riqualificata, ad opera del Pubblico ministero, l’originaria contestazione L. 1 ottobre 1967, n. 895, ex articoli 2 e 7 di cui al capo 1) – nonché’ ritenuta la continuazione fra tale reato e la contravvenzione di cui all’articolo 697 c.p. riportata sub 2) della rubrica, lo ha condannato alla pena di Euro quattrocento di ammenda, oltre che al pagamento delle spese processuali; in sentenza sono stati emessi, altresì, i conseguenti provvedimenti in ordine a quanto in sequestro, disponendosi la confisca del revolver calibro 10.4 e dei proiettili, con trasmissione alla Direzione di Artiglieria territorialmente competente, nonché’ la distruzione – da eseguirsi al momento della irrevocabilità della sentenza – dei petardi marca Thunder e, infine, la restituzione all’avente diritto del giubbino marca Orwell e del bilancino.

2. (OMISSIS), a mezzo del difensore avv. (OMISSIS), ha proposto appello; l’atto di impugnazione è stato poi riqualificato quale ricorso per cassazione – in ragione della inappellabilità delle sentenze di condanna a mezzo delle quali venga irrogata la sola pena dell’ammenda, ai sensi dell’articolo 593 c.p.p., comma 3, – ed è stato trasmesso alla Corte di cassazione, a norma dell’articolo 568 c.p.p., comma 5. La difesa ha dunque dedotto, avverso la sopra riassunta decisione, due motivi, che vengono di seguito sintetizzati entro i limiti necessari per id motivazione, ai sensi dell’articolo 173 disp. att. c.p.p.

2.1. Con il primo motivo, è stata domandata l’assoluzione ai sensi dell’articolo 530 c.p.p., comma 2, con l’utilizzo della formula di rito “per non aver commesso il fatto”.

Il giudice per l’udienza preliminare si sarebbe limitato a procedere alla sopra menzionata riqualificazione giuridica, senza esporre il compendio probatorio militante a carico del prevenuto. Mancherebbero completamente, secondo la difesa, gli elementi in forza dei quali poter desumere la fondatezza dell’affermazione di penale responsabilità a carico del prevenuto.

Non si ha nozione, inoltre, circa il tempo intercorso, da quando l’imputato ha acquisito il possesso dell’arma, a quando tale materiale è stato rinvenuto dai Carabinieri. Sottolinea la difesa, allora, come il Regio Decreto 18 giugno 1931, n. 773, articolo 38 (T.U.L.P.S.) imponga la denuncia di armi, munizioni e materiale esplodente, entro il termine di settantadue ore dalla acquisizione della materiale disponibilità di tale materiale. Non essendo emersa l’esistenza di tale iato temporale (dall’acquisizione della disponibilità materiale sequestrato, da parte dell’imputato), la conclusione che ha portato alla condanna risulta, evidentemente, fondata su una mera presunzione. Non sarebbe atta, dunque, a fondare l’affermazione di penale responsabilità.

2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente si duole sia del trattamento sanzionatorio, sia della mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. E infatti:

– la pena base è stata determinata in euro cinquecento, laddove la pena edittale prevista, in relazione alla contravvenzione di cui all’articolo 697 c.p., è fissata, nel massimo, ad euro trecentosettantuno;

– non vi è motivazione alcuna, infine, in ordine al mancato riconoscimento delle pur invocate circostanze attenuanti generiche.

3. Il Procuratore generale ha concluso per l’annullamento della sentenza impugnata, limitatamente al calcolo della pena, con rinvio per nuovo giudizio al Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Foggia; ha chiesto dichiararsi la inammissibilità del ricorso, per quanto attiene alle residue doglianze.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato, nei termini sotto chiariti.

2. Pare anzitutto opportuno richiamare il principio di conservazione del mezzo di impugnazione impropriamente proposto, ricavabile dalla lettera dell’articolo 568 c.p.p., comma 5, in relazione al quale le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che: “In tema di impugnazioni, allorché’ un provvedimento giurisdizionale sia impugnato dalla parte interessata con un mezzo di gravame diverso da quello legislativamente prescritto, il giudice che riceve l’atto deve limitarsi, a norma dell’articolo 568 c.p.p., comma 5, a verificare l’oggettiva impugnabilità del provvedimento, nonché’ l’esistenza di una “volunids impugnationis”, consistente nell’intento di sottoporre l’atto impugnato a sindacato giurisdizionale e quindi trasmettere gli atti, non necessariamente previa adozione di un atto giurisdizionale, al giudice competente” (Sez. U, n. 45371 del 31/10/2001, Bonaventura, Rv. 220221). Correttamente, dunque, gli atti sono pervenuti a questa Corte, in ossequio al sopra esposto principio di diritto, tanto premesso, si può passare all’esame delle singole doglianze.

3. Quanto al primo motivo di ricorso, giova preliminarmente richiamare la consolidata giurisprudenza di legittimità, a mente della quale – affinché’ si possa escludere la qualificazione di “arma” – è necessario che si tratti di uno strumento divenuto ormai totalmente ed irreversibilmente inefficiente. In tal caso, viene definitivamente a mancare quella situazione di pericolo per l’ordine pubblico e per la pubblica incolumità, che rappresenta l’oggetto giuridico delle fattispecie in materia di armi. Allorquando invece l’arma – pur se all’attualità non funzionante si presenti agevolmente riparabile, così potendosene ripristinare l’originaria attitudine lesiva, essa non perde la qualifica propria di “arma” (si vedano, sul punto, Sez. 1, n. 3696 del 04/02/1983, Marchesan, Rv. 158666 e Sez. 1, n. 35648 del 04/07/2008, Saitta, Rv. 240677, a mente della quale: “Ai fini della configurabilità di un’arma come tale, è necessario che essa non risulti totalmente e assolutamente inefficiente, poiché’ solo in tal caso viene a mancare quella situazione di pericolo per l’ordine pubblico e per la pubblica incolumità che costituisce la “ratio” della disciplina vigente in tema di detenzione e porto illegale di armi. Ne consegue che, l’arma non perde tale qualità solo qualora, pur essendo guasta o priva di pezzi, anche essenziali, sia comunque riparabile con pezzi di ricambio o anche con altri accorgimenti in mancanza dei pezzi originali”; in senso conforme si sono in seguito espresse Sez. 1, n. 16638 del 27/03/2013, Far ciglia, Rv. 255686; Sez. 1, n. 28796 del 04/06/2018, Contaldo, Rv. 273297; Sez. 1, n. 18218 del 06/03/2019, Romano, Rv. 275465).

3.1. Nella concreta fattispecie, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Foggia, come detto, ha proceduto alla riqualificazione giuridica del reato L. n. 110 del 1975, ex articolo 23, ascritto sub 1), ai sensi dell’articolo 697 c.p. Il fatto è stato ricondotto entro tale alveo normativo, in forza dell’espressa affermazione che l’arma (un revolver calibro 10,4 mm modello 1861 e prodotta in epoca antecedente al 1924, ad azione singola e con telaio completamente aperto, adottato come arma d’ordinanza dai Carabinieri Reali nel neonato Regno d’Italia) – sebbene astrattamente funzionante – non fosse concretamente in grado di esplodere colpi. Le cartucce originariamente adoperate per il funzionamento di tale arma, stando a quanto accertato durante il processo di merito, non vengono ormai prodotte da lungo tempo, per cui non sono più disponibili.

3.2. Laddove si fossero assemblate, con i materiali in commercio, delle nuove cartucce ad hoc, parimenti non sarebbe stato possibile esplodere dei colpi mediante la sopra menzionata arma. Se ne desume la completa ed irreversibile inefficienza della pistola incriminata, in relazione all’uso lesivo al quale essa era inizialmente deputata.

3.3. Quanto alla riqualificazione della condotta contestata, con riconduzione della stessa entro l’alveo normativo dell’ipotesi contravvenzionale di cui all’articolo 697 c.p., pare comunque opportuno sottolinearne l’improprietà. In tema di detenzione illegale di armi, la materia è stata infatti disciplinata dalla L. 14 ottobre 1974, n. 497, articoli 14 e 15, relativamente alle armi comuni da sparo; in conseguenza dell’intervento di tale novella, la legge speciale deroga all’articolo 697 c.p., sotto la cui egida previsionale rientrano ormai solo le armi che non siano classificabili come armi comuni da sparo o come armi da guerra o tipo guerra, nonché’ le munizioni per armi comuni da sparo, delle quali non è fatta menzione nel dettato della L. n. 497 del 1974, articolo 14. Ne deriva che il modello legale ex articolo 697 c.p. trova applicazione, a legislazione vigente, limitatamente alle armi proprie da punta e da taglio, oltre che alle munizioni per armi comuni da sparo (Sez. 1, n. 4505 del 23/03/1983, Ferraiolo, Rv. 159082).

3.4. Tutte le sopra esposte argomentazioni conducono – in maniera univoca – a ritenere la fondatezza della relativa censura difensiva, stante l’insussistenza del fatto contestato sub 1; ne deriva l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, con riferimento a tale porzione della contestazione.

4. Per ciò che inerisce al capo 2) della rubrica, sussiste il vizio di mancanza di motivazione. Tale patologia del provvedimento ricorre, anzitutto, allorquando le argomentazioni addotte dal giudice, a sostegno e dimostrazione della saldezza del convincimento espresso, appaiano prive di completezza, in relazione a specifiche doglianze formulate dall’interessato e dotate del requisito della decisività; ricorre però anche – a fortiori – allorquando l’apparato motivazionale, posto a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità, si riveli totalmente carente, già sotto il profilo grafico.

Nel caso di specie, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Foggia ha condannato (OMISSIS) anche per la illecita detenzione di cento quarantasei proiettili calibro 22 e di due grossi petardi; in ordine a tale fatto, però, non vi è alcuna motivazione nella sentenza impugnata. Dal rilievo di tale dato oggettivo, deriva l’annullamento della decisione, limitatamente a tale contestazione, con rinvio per nuovo giudizio.

5. Sia il motivo di ricorso attinente alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, sia quello inerente al trattamento sanzionatorio restano infine assorbiti dalle sopra riportate decisioni.

La censura inerente al computo della pena, peraltro, si palesa icto oculi fondata. Stando al concorde orientamento della giurisprudenza di legittimità, la mancata osservanza, ovvero l’erronea applicazione delle norme che disciplinano il calcolo della pena, acquistano specifica rilevanza – ai fini del ricorso per cassazione – allorquando la pena inflitta in dispositivo sia “illegale”, cioè non rientri, per specie o quantità, nei limiti di quella astrattamente comminata per il reato in contestazione (in questo senso Sez. 2, n. 12991 del 19/02/2013, Stagno e altri, Rv. 255197). Nella concreta fattispecie sottoposta al vaglio di questa Corte, il trattamento sanzionatorio adottato dal Giudice dell’udienza preliminare è errato, nei presupposti stessi dai quali muove. Si è infatti reputata equa, erroneamente, la pena base di euro 500,00 di ammenda; l’articolo 697 c.p., però, fissa la misura massima dell’ammenda in euro 371,00.

Trattasi, come sopra accennato, di doglianza assorbita dai sopra chiariti esiti.

6. Alla luce delle considerazioni che precedono, dovrà disporsi l’annullamento della sentenza impugnata. Tale annullamento avverrà senza rinvio, stante l’insussistenza del fatto contestato, per quanto attiene al capo 1) della rubrica; vi sarà, invece, rinvio per nuovo giudizio al Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Foggia, in diversa persona fisica, con riferimento al profilo attinente al secondo capo di imputazione. Restano assorbite le ulteriori deduzioni difensive.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, relativamente al reato di cui al capo 1), perché’ il fatto non sussiste. Annulla la sentenza impugnata, relativamente al reato di cui al capo 2), con rinvio per nuovo giudizio al Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Foggia, in diversa persona fisica.

2023-08-11T11:30:11+02:00 19 Settembre 2023|